La reazione dei conti Ranuzzi all'invasione di Porretta e la controffensiva ghibellina nell'Alto Reno: l'assedio e la strage della Pieve di Lizzano - (Parte VI.12)



Questo studio fa parte di una serie intitolata "Per una storia del banditismo montano nel Cinquecento" che raccoglieremo in maniera organica e in un unico testo in un post finale ma che nel frattempo li riproporremo gradatamente nella versione iniziale pubblicata.

CULMINE E CADUTA DEL FENOMENO BANDITESCO NELL'ALTO RENO ALL'ESAURIRSI DEL RINASCIMENTO. CAUSE CONTINGENTI E TRASFORMAZIONI STRUTTURALI

La reazione dei conti Ranuzzi all'invasione di Porretta e la controffensiva ghibellina nell'Alto Reno: l'assedio e la strage della Pieve di Lizzano (5 febberaio 1585)

La seconda e più grave invasione del Bagno della Porretta, avvenuta il 21 gennaio 1584 in pieno carnevale ad opera di un'ottantina di uomini guidati dal conte Alfonso Montecuccoli di Montese e da don Gherardo Tanari, pievano di Lizzano, a cui se forse non avevano immediatamente partecipato gli Zanini certo non erano stati estranei diversi guelfi capugnanesi ad essi legati da parentela ed affinità, doveva essere la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso e causato la formazione di una vasta e composita reazione contro i Tanara-Menzani e contro gli stessi Zanini, l'avvio del loro tracollo politico o, quanto meno, del loro drastico ridimensionamento. Contro il predominio dei Tanara-Menzani e le loro violenze mafiose nel Belvedere si stava creando una composita reazione, di cui facevano parte i rivali Fronzaroli del parroco di Rocca Cometa don Bino e la quasi totalità di questa comunità, poi numerose famiglie belvederiane come i Bernardini che dai Tanara erano state angariate, o altre come i Filippi ed i Fioresi, che di Lizzano erano antiche ed originarie ed aspiravano a ripristinare l'autonomia della grande comunità, nella quale inevitabilmente avrebbero avuto un ruolo centrale, e a scrollarsi di dosso il controllo dei Tanara sulla pieve e sui beni comunali, la prima controllata dalla metà degli anni sessanta, i secondi «affittati» con sostanziale violenza ormai ininterrottamente dal 1528. Sobillavano il malcontento i Pepoli, guida della contraria fazione ghibellina ed interessati a subentrare ai Tanara nel controllo dei beni e del comune, a stabilire a loro volta una larvata rifeudalizzazione sul Belvedere in modo da completare con le loro basi, feudi, tenute, l'accerchiamento del potere pontificio-legatizio e della città in modo da conseguirvi il «principato» di fatto. In questo disegno il controllo del Belvedere, chiave di volta verso il Frignano e la Garfagnana estense, verso l'alto Pistoiese, la Lucchesia, Pisa e Livorno, diveniva essenziale. Altrettanto forte era in Granaglione e Capugnano la reazione contro gli Zanini, famiglia che vantava grandissime benemerenze politico-culturali e religiose nelle due comunità e che per molti versi era l'anima della loro resistenza alla crescente pressione dei conti Ranuzzi per affermare la giurisdizione feudale del miglio largo, ma che, a sua volta, proprio per la costante crescita del potere locale e per il prestigio politico-sociale e culturale su scala nazionale, rischiava, almeno in non pochi suoi membri, di abusare del potere ottenuto. .....

I due stemmi maggiori sono tratti da Biblioteca digitale bavarese e specificamente dal libretto araldico n. 9, della Biblioteca elettorale del serenissimo duca di Baviera, (comprendente stemmi di Venezia, Mantova, Bologna, Ancona, Urbino). L'intera serie proviene sicuramente dall'Italia del nord ed è databile agli anni di GregorioXIII. Gli stemmi piccoli sono tratti dal Blasonario bolognese del Canetoli, della fine del XVIII sec.

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