Momenti del banditismo nel Belvedere. Don Gherardo di Bella Tanari - (Parte IV.1)



Questo studio fa parte di una serie intitolata "Per una storia del banditismo montano nel Cinquecento" che raccoglieremo in maniera organica e in un unico testo in un post finale ma che nel frattempo li riproporremo gradatamente nella versione iniziale pubblicata.

Momenti del banditismo nel Belvedere. Don Gherardo di Bella Tanari - (Parte IV.1)

Affermare che quelle criminali sono tra le fonti storiche più affascinanti può sembrare cinico se solo si considera «di che lacrime grondino e di che sangue». Arresti e lunghe detenzioni; torture drammatiche su semplici indizi; condanne alla forca, al rogo, all'attanagliamento, allo squartamento, o, anche in molti casi meno truculenti, a tre tratti di corda (ossia alla disarticolazione delle braccia, che poteva rendere inabili per tutta la vita); alla galera, ossia a remare a vita in condizioni disumane, sono eventi di «ordinaria giustizia» per il passato. La giustizia umana ha spesso compensato la sua impotenza (e la sua tendenza al compromesso verso i potenti) con una violenza inaudita verso gli umili e i deboli, contando di «dare un esempio», di creare un deterrente al crimine, mentre, con la sua truculenza sanguinaria spesso contribuiva solo a creare assuefazione ad esso. Senza contare che — lo ricordavano già Verri, Beccaria, Manzoni — le sue violenze e le sue torture potevano essere meglio sopportate dal criminale robusto e incallito che dall'innocente debole e sensibile, sicché la verità spesso restava lontana dalle aule di tribunale e dalle camere di tortura. Certo, tra molti casi di delinquenza minore, tra tanti episodi anche divertenti, non mancano delitti di efferata violenza e, soprattutto, colpisce in molti periodi del passato la violenza quotidiana, endemica, per cause che a noi oggi possono apparire affatto irrilevanti, quali semplici sospetti d'onore, una lite di gioco, una «mentita» nata all'improvviso, quasi dal nulla. La vita di un uomo costava poco nel '500 e spesso infatti non era difficile assoldare un sicario per pochi soldi. Ma c'erano anche conflitti d'interesse, faide familiari, banditismo sistematico. Tra violenza repressiva e rinuncia, la giustizia si barcamenava impotente, spesso anzi doveva appoggiarsi alle grandi famiglie e alle bande vicine al potere politico per contenere le contrapposte bande che, per contro, ostentavano un orientamento «eversivo», contribuendo però, per questa via, a spingere la gente a farsi giustizia da sè o a cercare da sè un compromesso, una pace privata, regolarmente e solennemente stipulata, che finiva per emarginare ancor più l'autorità dello stato. Contribuiva a quest'ultima soluzione anche il concetto cristiano di perdono, di liberazione e pacificazione spirituale; ma, di fatto queste paci erano spesso del tutto provvisorie, facilmente travolte dal riemergere di rancori radicati, dal timore stesso che a prendere l'iniziativa di nuove offese fosse la controparte. Così alla violenza si aggiungeva la violenza e la giustizia s'imbarbariva ogni giorno di più. I casi belvederiani che stiamo per illustrare riguardano fortunatamente una criminalità minore, connessa alle piccole controversie rurali e ai danni campestri e anche il solo caso che avrebbe potuto dar luogo a una conclusione tragica, almeno per allora, ebbe un esito «felice». La modestia degli episodi dà luogo a delle istruttorie sommarie, con poche testimonianze, ossia per lo storico, si tratta di sei episodi meno «belli» di altri più truculenti e drammatici, perché meno ricchi di testimonianze e di dati sulla vita quotidiana dci protagonisti e dei testi. Tuttavia si tratta di casi estremamente indicativi della vita belvederiana del secondo '500, che permettono di integrare felicemente altre fonti come gli estimi, gli stati d'anime o i rogiti notarili che abbiamo esemplificato su precedenti numeri della musola. Da queste fonti diverse, in particolare, comincia ad emergere ben individuata la fisionomia di qualche personaggio, come Giuliano di Bosio Filippi o don Gherardo di Bella Tanari. ....

Lo stemma dei Tanari, da "La Musola"

0 commenti:

Posta un commento

 
Powered by Blogger