Il maresciallo Gianluca Pallavicini (Genova 1697 - Bologna 1773) Erede politico-militare del principe Eugenio, protagonista dell'età dei lumi, fautore dell'equilibrio europeo e precursore dell'unità d'Italia liberale


Fino agli ultimi decenni mancava una visione d'insieme del conte maresciallo Gianluca Pallavicini Centurioni ed anzi si può dire che, se si escludono le note abbastanza puntuali inserite nell'Ottocento nelle genealogie del Litta, esistesse nei suoi confronti una sorta di damnatio memoriae. Soltanto in questo dopoguerra il quadro ha cominciato, lentamente, a mutare col progressivo emergere, su nuove basi critiche e documentarie, dell'età dell'illuminismo, dapprima con gli studi sulle riforme "teresiane" milanesi, poi sul catasto milanese - mantovano, sulla formazione della Trieste moderna, quindi coi fondamentali studi di Franco Venturi e della sua scuola, e infine, ci sia permesso di dirlo, coi nostri sull'ultimo ancora fondamentale ventennio di vita del maresciallo, quello bolognese - ferrarese - pontificio (1753 - 73). Su questo periodo, quando ancora studenti cominciaromo ad occuparcene, esisteva solo un accurato ma succinto e poco divulgato studio di Ostojal e qualche tesi, non brillante fatta fare da Luigi dal Pane. Che per altro Dal Pane ne avesse intravisto I'importanza anche per Bologna è dimostrato dal fatto che sognava di fare di palazzo Alamandini Bolognetti di via S. Felice, acquistato, ampliato e riqualificato dal maresciallo,la sede di un Istituto per la Storia di Bologna, che voleva dotato di una grande biblioteca e centro vivo di ricerca, laddove I'Istituto, in altra modesta sede, si è poi risolto nella promozione di più importanti, ma come immagine complessiva soppiantato dalle fondazioni bancarie. Il prestigioso palazzo Pallavicini, a parte gli studi della Landi, resta praticamente ignoto ai bolognesi e il documentato studio biografico ed economico che, sulla base dei rogiti, del copialettere, dei libri mastri e di innumerevoli altre fonti dedicammo al maresciallo studenti e nei primi anni di ricerca, resta manoscritto. Abbiamo potuto dedicargli solo pochi accenni nel contesto di altre pubblicazioni, del resto anch'esse molto sacrificate e tagliate. E' stato merito di Franco Venturi cominciare a intravedere il maresciallo nella sua completezza (ma invero non I'ultimo ventennio) e avviare la spiegazione di quella sorta di damnatio memoriae risalente a due momenti fondamentali: uno già contemporaneo e uno del secolo successivo, dell'età risorgimentale. L'aristocrazia genovese, ancora grande e potente, ma anche costretta a giochi opportunistici, che del Pallavicini si era servita per proteggere i suoi investimenti, si era trovata travolta nel 1747 dagli avvenimenti (1'occupazione imperiale, I' insurrezione popolare) e, per certi versi aveva cercato di scaricare il risentimento collettivo e popolare sul maresciallo, che in realtà aveva svolto più ruolo di mediazione che di collaborazione con I'occupante, salvo poi recuperarlo gradatamente perché fondamentale ai propri investimenti. Esattamente un secolo dopo la damnatio memoriae, anche se non esplicitata, era venuta dai giovani repubblicani mazziniani che delle grandi manifestazioni per il centenario dell'insurrezione genovese (e in quelle parallele della battaglia di Gavinana) avevano fatto la premessa dei moti rivoluzionari italiani e della prima guerra d'indipendenza, del 1848-49, slancio ideale fissato nell'inno di Mameli, oggi inno nazionale. Francesco Ferrucci e Balilla (i bimbi d'Italia si chiaman Balilla) divenivano i punti di riferimento di una guerra di popolo che doveva riscattare la libertà d'Italia dall'asservimento interno e dalla dominazione straniera e mentre la figura del Balilla veniva in gran parte costruita anche con falsi documentari, implicitamente, la figura del maresciallo doveva essere travisata come quella di un "mercenario" al servizio di un impero che asserviva le libertà d'Italia (travisamento favorito dall'esistenza di un altro ramo della famiglia divenuto effettivamente austro - ungarico). Non è nostra intenzione dissociarci da questi entusiasmi democratici e libertari, ma che vi fosse in essi anche una forte componente retorico - nazionalista sarebbe poi emerso nei successivi balilla di regime e nelle guerre non più liberatrici, ma imperialiste e soffocanti le libertà altrui, fallimentari, e oggi sentiamo largamente come "inutile strage" la stessa guerra del 1915-18.
Fortunatamente il contesto è oggi totalmente mutato e si è creato il clima adatto per il recupero della personalità autentica del conte e generale - maresciallo Gianluca, su autentiche basi documentarie. Nella tradizione dell'aristocrazia genovese, I'Italia è unita e repubblicana, non è più nazionalista e imperialista, ma inserita in un contesto che, pur attraverso difficoltà, punta all'Europa unita e, si spera, cosmopoliticamente aperta alle nazionalità e culture degli altri, e, al di là dell'attuale congiuntura economica, in un contesto di progresso economico e riequilibrio sociale. Ben lungi dall'essere stato un mercenario asservito di tutto questo il maresciallo Pallavicini è stato, viceversa, un consapevole "precursore" a cui oggi si può guardare come punto di riferimento, anche se, ovviamente, bisognerà evitare nuove fughe ideologiche e ancorarne la vita e I'opera agli specifici tempi e problemi. Comunque due cose vanno dette preliminarmente: grande generale e maresciallo dell'impero, il conte Gianluca non fu un militarista né puntò sulla guerra come momento fondante della propria grandezza e fortuna, fu anzitutto un cittadino genovese, pronto, nella tradizione della città, ad inserirsi costruttivamente nei più diversi contesti, e nella sua stessa azione militare furono sempre in primo piano i problemi dell'economia e della finanza, la comprensione che le guerre s.i vincono con la solidità delle istituzioni e I'organizzazione economica, ossia che, in primo piano doveva essere costantemente la vita civile e un progresso economico il più possibile partecipato dall'insieme della collettività e quindi anche dalle "piccole genti", dalla borghesia e dal popolo minuto. Gianluca Pallavicini fu sempre, anzitutto, un economista e un finanziere, un "capitalista" (ma invero anche un grande intellettuale) , era nelle sue matrici genetiche genovesi e familiari, e tra gli impressionanti staff di collaboratori pubblici e privati di cui si servì (intellettuali e letterati, artisti e artigiani, banchieri, mercanti, idraulici, agronomi, ecc.) queste componenti borghesi - popolari, ed anche contadine ed ebraiche, furono sempre in primo piano. In proposito vorrei richiamare che la figura del maresciallo può essere esemplare anche a capire le problematiche connesse al secolare dibattito sulle origini del capitalismo (Marx, Sombart, Weber, ecc.) che, non a caso ebbe uno dei suoi centri ideali nella Vienna del tardo impero e,tra le varie tesi voglio ricordare, con particolare consenso, quella di Lujo Von Brentano, insistente con concretezza documentaria sulla plurisecolare vicenda genovese. Significativamente lo stesso Brentano era di non lontane origini genovesi e la famiglia era stata tra le ultime a ricalcare I'esperienza del maresciallo: i Brentano si stavano nobilitando ed entravano al servizio dell'impero nei suoi ultimi anni di vita, quando egli se ne distaccava e cedeva il suo reggimento al cugino Giancarlo. A muoverli erano anzitutto gli investimenti finanziari ma, come il maresciallo capiva perfettamente e per certi versi anche favoriva, i tempi stavano cambiando con le riforme e l'età giuseppina; I'esercito si stava nazionalizzando in senso austro - ungarico e lo stato asburgico, divenendo economicamente autonomo, lo avrebbe interamente controllato; le carriere sarebbero state possibili ormai solo divenendo effettivamente membri dell'impero, austriaci. Non a caso i Pallavicini di Giancarlo avrebbero acquistato il noto palazzo viennese, prossimo alla Hofburg, e sarebbero poi stati tra i grandi magnati ungheresi, generali austriaci ancora nella guerra del 1915- 1 8 e avrebbero riproposto in Ungheria la monarchia asburgica ancora nel secondo dopoguerra, così come i von Brentano avrebbero dato figure di primo piano del romanticismo e del mondo accademico tedesco.


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