L'età delle riforme



Il secolo dei Lumi si apre a Bologna in una situazione inquieta e problematica. L'età del re Sole e della gloriosa Rivoluzione inglese vi hanno avuto echi profondi. La città non ha mai cessato di considerarsi libera repubblica, soggetta alla Santa Sede solo nella figura del sovrano pontefice per dedizione patteggiata, ma autonoma dalla curia. Si avverte però che si tratta di libertas declinans che la stretta "Pretesca" si accentua. La rotazione dei legati ogni tre o sei anni e la precarietà degli apparati burocratici da essi dipendenti danno però spazio alla pretesa del Senato cittadino di esprimere la continuità della sovranità popolare in un eterodosso governo misto di monarchia e di repubblica, che la presenza di un ambasciatore in Roma sembra convalidare. Coi suoi segretari, consultori, notai ed archivisti il Senato controlla gran parte dell'apparato amministrativo, dalle finanze alle comunità del contado, mentre il legato controlla solo la giustizia e, per la grascia, si scontra costantemente coi collegi oligarchici, prossimi agli interessi agrari.
Ma, solidale nella difesa dell'autonomia da Roma, la città non è concorde al suo interno, nei suoi ceti e nelle sue classi, e, ora, sulle tradizionali divisioni si inserisce la sensibilità per i tempi nuovi, I'eco delle rivoluzioni intellettuali e politiche europee seicentesche. L'aristocrazia bolognese, tolto poche famiglie, non ha mai avuto livelli economici eccezionali né potenza politico-militare di feudi. La rifeudalizzazione cinquecentesca è stata presto spezzata, i feudi si contano sulle dita di una mano. Anche i privilegi locali e daziari sono ridotti e si avviano ad essere decisamente ridimensionati. Feudi esteri la nobiltà bolognese ne possiede molti in Romagna, nei Ducati, nel Regno sabaudo ed in quello di Napoli, talora persino nell'Impero, ma spesso servono solo a dare titolo o attestano la frequenza di un servizio che garantisce alla nobiltà molteplici alleanze e permette alla città di ottenere il riconoscimento estero alle sue pretese di autonomia repubblicana, di restare, nonostante l'assenza di una corte, la maggiore città emiliana. Ma le cinquanta famiglie del patriziato senatorio ereditario non hanno mai potuto costituirsi in classe chiusa: molte si sono immiserite ed estinte, sostituite da altre famiglie nobiliari o nuove, arricchite attraverso la mercatura. Le conseguenze economiche e, in parte, politiche, nel patriziato sono notevoli.
Se fidecommessi e maggioraschi, la fusione di più rami e i matrimoni con ereditiere hanno favorito nel corso del Seicento una concentrazione patrimoniale senza precedenti, Ia base demografica della nobiltà si è pericolosamente ridotta.


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