Il processo Lenzi - Santini




L'OMICIDIO DI MARCO DI PACE SANTINI AL SAMBUCEDRO DEI BOSCHI DI GRANAGLIONE (1694), LA CONDANNA (1708), LA CONTINUATA LATITANZA E LA GRAZIA (1717) DI LORENZO DI GIOVANNI LENZI. 

Una insignificante vicenda privata o drammatiche lotte intestine alla comunità di Granaglione ed all'Alto Reno in un periodo di totale riequilibrio politico - religioso - sociale e di costume della società europea?

Il presente studio, pressoché ai suoi inizi, è nato da una ricerca ormai annuale sulla famiglia Lenzi nelle sue molteplici articolazioni (nobili e popolane, montanare e urbane, intellettuali e mercantili, artigianali e contadine, medievali e moderne, granaglionesi e capugnanesi, ma anche pistoiesi, fiorentine, bolognesi, europee e transoceaniche, ecc.) Una ricerca senza alcun fine di lucro o di potere, sulla quale è nata una fattiva collaborazione con l'apporto proficuo di diverse competenze e attitudini, della quale non si intravvede minimamente la fine, anche perché nessuno intende dedicarle il tempo pieno; che ha conosciuto entusiasmanti momenti di scoperta e inevitabili momenti di stanca, che avrà anche una base genealogica (per il momento meglio tenersi sul plurale, molteplici e frazionate basi genealogiche) ma che non ha mai inteso essere una ricerca genealogica quanto sondare molteplici e diversi periodi, molteplici e diverse personalità e situazioni e verificare se vi siano stati tra situazioni e personalità spesso apparentemente lontanissime momenti d'incontro, con quali risultati ed effetti.
 Una ricerca che vuole anzitutto essere sondaggio di fonti, di metodologie, di problemi, che non vuole dimostrare nulla ma che, al contrario, dall'indagine diretta delle fonti vuole trarre infinite sollecitazioni in tutte le direzioni, senza preconcetti ma abbandonandosi al fluire stesso della storia e della vita degli individui e delle comunità, della società. Una ricerca che, inevitabilmente, per essere efficace è destinata a frammentarsi in infiniti rivoli, probabilmente a portare a numerosi studi specifici, e.....inevitabilmente, a restare incompiuta, poiché "tutto è in tutto" e panta rein, tutto scorre, non si può arrestare la vita. Ma, la storia insegna, spesso l'incompiuto può essere più stimolante dell'opera finita e leccata, generica e ideologica.
Decidendo di avviare la pubblicazione on line di questo primissimo abbozzo intendiamo anche fare un'esperimento privato e insieme "didattico": mostrare come nasce e si sviluppa una ricerca viva, muovendo anche da motivi del tutto occasionali, come prenda via via corpo intorno ai problemi che i documenti pongono ed alle ipotesi che su di essi lo studioso sviluppa, costretto non di rado a rivedere e correggere i propri giudizi sulla base di nuovi documenti ed acquisizioni, di una conoscenza di fatti e situazioni che via via si allarga e si precisa.
Lo spunto iniziale è una vicenda giudiziaria in cui il ricercatore si deve porre nei panni del giudice inquirente (e quindi, inevitabimente, giudicare anche il suo operato), entrare nella psicologia e nelle motivazioni dei protagonisti e del loro ambiente, ma anche del potere e degli stessi giudici, nella mentalità di una società in divenire. Già fin dagli inizi si intravede che nei fatti ed anche nei fatti criminali vi sono precise responsabilità individuali ma anche responsabilità collettive. La grande storia recente ci ha insegnato che non raramente una intera società può con le motivazioni più diverse (ideologiche, razziali, economiche, religiose ecc.) diventare insensibilmente criminale e, purtroppo, ci insegna anche che la "storia non insegna nulla", che gli stessi errori sono destinati a riprodursi all'infinito, con le motivazioni più diverse e talora "nobili" (l'amor di patria, il progresso, la fede, ecc.).
Sviluppando la nostra inchiesta rispetto ai giudici contemporanei noi ci troviamo in una situazione di svantaggio ed insieme di vantaggio. Di svantaggio, perchè moltissimi dati che per i giudici del tempo erano noti ed ovvi (dalla cultura materiale ai costumi, dall'organizzazione politico – sociale ai valori, dal paesaggio all'economia, ecc.) noi li dovremo recuperare con fatica; con vantaggio, perché, grazie ai molteplici archivi conservati, noi potremo disporre di una massa di dati di cui gli investigatori del tempo non potevano disporre (dai libri parrocchiali agli estimi, dai rogiti notarili alla corrispondenza ed alle decisioni dei poteri politici) e, degli avvenimenti, possiamo conoscere il prima ed il dopo ed inserire il tutto in una dimensione estremamente allargata. Ma, soprattutto, noi avremo il vantaggio di poter emettere dei giudizi provvisori, rivedibili, senza il rischio di condannare innocenti e distruggere vite. C'è, è vero, anche una responsabilità dello storico che è quella di mettere in circolazione giudizi ed ideologie erronee. Decidendo di partecipare la ricerca nel suo stesso divenire, ovviamente noi mettiamo in discussione le nostre convinzioni, i nostri dubbi, accettiamo il dialogo. "Se sbaglio mi corrigerete", e non abbiamo autorità esorbitanti e dogmi da difendere, cerchiamo una "aletheia", una verità con la v minuscola, parziale e provvisoria, che può convivere benissimo con altre verità.

Vista della Chiesa di Sant'Agostino, Boschi, Granaglione, da "Le chiese parrocchiali della diocesi di Bologna, di Enrico Corty

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