La Madonna di San Luca a Bologna - Valori simbolici del santuario e del portico nel contesto politico-culturale bolognese del Sei-Settecento



Il culto cittadino della Madonna di S. Luca si era delineato assai gradatamente, anche per l'acquisizione duecentesca del monastero collinare alla religione domenicana e poi per la discesa trecentesca delle monache nel convento urbano di S. Mattia, fino al 1433 quando, per iniziativa di Graziolo Accarisi, primo elaboratore della leggenda, erano iniziati i trasporti cittadini dell'antica immagine. Significativamente però era stato solo sotto la consolidata signoria di Giovanni II Bentivoglio, nel 1476, che il culto della B.V. di S. Luca era entrato organicamente nella liturgia cittadina in connessione ai tridui delle rogazioni minori, cominciando a configurarsi, per tale fatto, come specifico culto "nazionale" bolognese Poco dopo, nel 1481, anche la chiesa ebbe i primi significativi ampliamenti. D'altra parte lo sviluppo del culto santuariale mariano si delinea quasi ovunque appunto solo a partire dalla seconda metà del Quattrocento. Agli inizi del Cinquecento il culto patronale cittadino della B.V. di S. Luca era ormai ben definito tanto che lo stesso Giulio II, conquistando la città, come non mancò di confermare la "nazionalità" dei benefici ecclesiastici bolognesi, non mancò di rendergli omaggio, connotando la liturgia "lucana" delle rogazioni bolognesi e il monastero di S. Mattia di particolari indulgenze, in continuità con quelle che pontefici, legati e vescovi già avevano concesso a partire da Nicolò IV. ...


Corporazioni d'arte e famiglie cittadine in relazione con la basilica di San Petronio (secoli XVI-XVIII)



Le circostanze storico-politiche che portarono alla delineazione della figura leggendaria di S. Petronio ed alla sua fissazione come patrono della città sono state oggetto di numerosi studi specialistici né perciò occorrerà insisterci. Su qualche punto merita però richiamare l'attenzione, anche per individuare linee di continuità tra l'età medievale e moderna ed il persistere del culto e della funzione patronale nel mutare delle circostanze storico-culturali. 
S. Petronio è un santo esclusivamente bolognese, funzionale al dominio della città, che nello stesso contado bolognese non ha praticamente alcun culto. Il governo cittadino chiama capitani, vicari, podestà e massari a prestare omaggio per la festa del santo ma il suo culto non si diffonde nel contado. Non c'è alcuna chiesa bolognese che gli sia dedicata, forse con l'unica eccezione di Funo dove però è tardivo contitolare per l'intervento di un senatore Angelelli, né vi sono cappelle o benefici che ne portino il nome, ad eccezione di un beneficio nella metropolitana di S. Pietro. Le stesse immagini del santo compaiono raramente e tardivamente in pale comitatine e sarà da esaminare in quali circostanze e per quale committenza. Inutile dire che in città invece il santo figura in innumerevoli pale ed affreschi, presso numerosissime chiese ed in contesti estremamente significanti: ad esempio nella pala dei Mendicanti del Reni o nell'altare di S. Alò dell'arte dei fabbri, sempre ai Mendicanti, chiesa di giuspatronato senatorio. In contado c'è una sola vera eccezione, quella di Castel Bolognese, l'enclave romagnola conquistata dai bolognesi proprio nel 1388, ossia negli anni stessi della fissazione della repubblica popolare e dei nuovi statuti nonché di fondazione della basilica. S. Petronio è dunque il protagonista di un'impresa coloniale del «popolo» bolognese proprio ai danni dello Stato pontificio, sostiene un' enclave che, con pochissime parente-si, la repubblica bolognese manterrà anche dopo essere stata sottomessa da Roma e dai pontefici, fino al 1794, in un rapporto coi sudditi-alleati romagnoli di reciproca convenienza e sostegno. La soppressione di tale enclave, dopo le tensioni già delineatesi nel 1780 per il piano economico del card. Boncompagni e Pio VI, sarà anche in qualche modo l'evento simbolico della fine di un rapporto, di un compromesso costituzionale instauratosi col pontificato e la curia alla metà del Quattrocento e ricontrattato agli inizi del Cinquecento, poi più volte esplicitamente o implicitamente ridefinito. Non a caso, lasciati nello stesso 1794 liberi di scegliere in rapporto al nuovo piano doganale del tesoriere Ruffo, i bolognesi opteranno di essere considerati stato estero e avranno inizio le più specifiche congiure dei «malintenzionati» e dello Zamboni, già tutte orientate in senso rivoluzionario ed insieme di restaurazione della libertas repubblicana bolognese, apertamente appoggiate da larga parte del ceto senatorio. Tutti gli eventi che ruotano intorno al culto di S. Petronio ed alla stessa costruzione e completamento della basilica conservano dunque, anche in età moderna, un'immediata valenza simbolica e politica nel contesto di una specifica fede civica, municipale, della volontà bolognese di persistere come ben individuata patria e nazione. Finché il culto di S. Petronio resta vivo in Bologna, la città continua a volersi nazione, in un rapporto di amore-odio, comunque di tensione con Roma, con la curia e i sovrani-pontefici. Gli affreschi di palazzo Magnani, sede d'apertura del nostro convegno, ne sono uno degli esempi più eccezionali e non privi di agganci con la lunga durata del culto giurisdizionalista del santo. 
Circa questo rapporto di tensione basti pensare, dopo la fondazione della basilica, all'estromissione delle immagini del legato card. Aleman e di Martino V dal portale di Jacopo della Quercia; basti pensare ai complessi equilibri politici che vedono, dopo i primi interventi di Eugenio IV, la delineazione della struttura quasi definitiva del Capitolo (1 primicerio, 18 canonici, 15 beneficiati) nel 1463, sotto Pio II ed il card. legato Capranica, quando la costruzione della basilica conosce il secondo e maggior impulso, con la famiglia del principe Bentivoglio relativamente defilata a vantaggio delle altre famiglie dell'oligarchia e per contro, con un legato concordatario e filocittadino come il Capranica, promotore dei lavori e fondatore egli stesso di una specifica cappella (che peraltro cederà poi all'arte «bentivolesca» dei macellai, la più prossima al potere del signore. La struttura del Capitolo si consolida in queste circostanze proprio con la cessione ad esso da parte dei XVI riformatori del dazio di piazza, ossia con una delle tante privatizzazioni delle risorse e della finanza pubblica che caratterizzano l'affermazione dell'oligarchia bolognese a metà del secolo, dalla Gabella Grossa dottorale alla Tesoreria all'Università delle Moline, alla spartizione del contado in precise aree di influenza strategico-economica. In questo contesto la basilica ed il Capitolo di S. Petronio vengono ad essere uno dei diversi pilastri della struttura di potere e dell'equilibrio-compromesso politico-istituzionale cittadino.


Per un'analisi dì lungo periodo della proprietà e dell'agricoltura zolese. La tenutina delle Donzelle e di Villa Edvige e Ia sua evoluzione storico-produttiva



Per un'analisi dì lungo periodo della proprietà e dell'agricoltura zolese. La tenutina delle Donzelle e di Villa Edvige e la sua evoluzìone storico-produttiva.

La circostanza della acquisizione da parte del comune di Zola di villa Edvige nella tenuta delle Donzelle e la sua ideata destinazione a centro di studi della storia delle ville, (si spera non solo da un punto di vista architettonico, ma nel senso originario del termine, ossia di "rus", campagna produttiva, agricoltura, impresa), ci invoglia a tentare una prima analisi del territorio e della proprietà zolese, nelle trasformazioni tra la fine del `700 e l'età rivoluzionario - napoleonica, per procedere poi ad un più preciso approfondimento dell'evoluzione della tenuta delle Donzelle nella fase (tutta l'età moderna) in cui fece parte del vastissimo patrimonio fondiario dei padri olivetani di S. Michele in Bosco e quindi, dopo la nazionalizzazione rivoluzionaria, entrò a far parte della nuova proprietà borghese dei Pancaldi e poi dei Giusti. Di particolare interesse risulterà proprio l'esame della fase di transizione, tra la seconda metà del sec. XVIII e gli inizi del XIX, in cui un nuovo ceto possidente e dirigente venne affermandosi anche nella realtà zolese, emergendo in larga misura non solo e non tanto dalle tradizionali attività della grande mercatura internazionale e della banca, ma proprio dai ceti popolari e anche dalle campagne, attraverso le attività artigianali e la mercatura minore (nella fattispecie la lavorazione ed il commercio della canapa) e la stessa produzione e le affittanze agricole, il commercio dei generi. In queste trasformazioni anche numerosi elementi di origine zolese (e più latamente originari delle campagne tra Lavino e Panaro) dovevano svolgere un ruolo rilevante.

 
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