Chiesa, famiglia, roba, onore, passione e faide a Granaglione nel Cinquecento - (Parte I)




Questo studio fa parte di una serie intitolata "Per una storia del banditismo montano nel Cinquecento" che raccoglieremo in maniera organica e in un unico testo in un post finale ma che nel frattempo li riproporremo gradatamente nella versione iniziale pubblicata.

Il banditismo è un fenomeno endemico in Italia e non in Italia soltanto. La Cina e il Giappone hanno anch'esse una loro tradizione storico-letteraria sui briganti e così la giovane America del Far West. Il banditismo è spesso stato un fenomeno complesso, originato da cause molteplici, non sempre riconducibili semplicemente alla criminalità. Alla fine del secolo scorso Armand Dubarry ne tracciava una sintesi storica per l' Italia dalla preistoria mitica di Ercole e Caco al brigantaggio postunitario. Oggi potremmo aggiornarlo fino alla mafia e alle brigate rosse. Fenomeni antichi come i sequestri di persona si fondono con la nuova criminalità organizzata per il controllo internazionale del mercato degli stupefacenti e, come in passato, il riciclaggio del denaro sporco stabilisce un complesso rapporto tra brigantaggio-criminalità e potere politico-economico ufficiale. La cronaca quotidiana ci offre tuttora casi esemplari del problematico rapporto tra attività legali e attività malavitose di molti potenti, né mancano gli esempi attuali di potenti che nonostante le pesanti condanne inflitte loro dai tribunali della repubblica restano impuniti e liberi di muoversi e di agire. D'altra parte se il bandito potente ha sempre suscitato una certa astiosità, il bandito popolare è stato spesso assimilato all'eroe, al giustiziere. Il Passatore è ancora un mito in Romagna, come Tiburzi lo è in Maremma. Più in generale la distinzione tra banditismo criminale e banditismo ideologico-politico non è mai stata troppo agevole. Nel medioevo il comune cittadino afferma il suo potere abbattendo quello feudale e la resistenza feudale si connota spesso di caratteri banditeschi con la violenza dei «lupi rapaces». Basterebbe pensare per il Bolognese a Muzzarello da Cuzzano o ai Panico nella loro decadenza. Le leggi antimagnatizie fanno spesso dei nobili dei banditi ma, poiché la «liberazione dei servi» è problematica per molti dei rustici asserviti dal forse più pesante contratto mezzadrile e dalle nuove tasse sui fumanti, non mancano all'occorrenza significativi incontri tra banditismo nobiliare e ceti popolari, eventualmente mediati da predicazioni ereticali come quella dolciniana. Del resto anche la fazione popolare vincente si divide presto in nuove fazioni e i vinti sono sempre banditi, hanno le case distrutte, sono costretti all'esilio e dall'esilio premono sulle aree confinanti, specie montane, per contestare il potere che ha prevalso nel centro cittadino e tentare il rientro. Anche nel Tre-Quattrocento la situazione non cambia: ci sono il popolo grasso e il popolo minuto, ci sono le signorie cittadine, la Chiesa, i potentati esterni che tentano di affermarsi sulle persistenti forze repubblicano-autonomiste. Ancora nella seconda metà del '400, nonostante la ripresa demografico-economica e la generale pacificazione italiana, il fenomeno continua......

Giovannino da Capugnano, Fanti e cavalieri, olio su carta, Bologna, Collezioni d'arte e storia della Cassa di Risparmio

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