La leggenda medievale di Sant'Acazio di Montovolo. Un probabile caso di propaganda ideologica antifedericiana nella Bologna del Duecento



Nel 1982, in occasione dei restauri agli affreschi quattrocenteschi della chiesa di S. Maria della Consolazione di Montovolo da parte della Sovrintendenza ai Beni artistici e storici e della Sovrintendenza ai Beni ambientali ed architettonici, fui coinvolto in una ricerca sul più antico ed importante Santuario della Montagna bolognese che era stato storicamente, con altre chiese e con numerosi e frazionati appezzamenti di una vasta zona circostante, diretta dipendenza del capitolo della Cattedrale di S. Pietro. Esaminata la non cospicua nè troppo organica letteratura specifica, anche per risolvere i moltissimi problemi che restavano aperti le mie ricerche archivistiche si orientarono in due direzioni: da un lato lo studio diretto dei documenti del capitolo di S. Pietro, conservati parte nell'Archivio di Stato per le espropriazioni rivoluzionarie e parte ancora nell'Archivio Arcivescovile (da integrare con altre fonti ecclesiastiche come anzitutto le Visite pastorali e le Miscellanee vecchie), dall'altro lo studio degli estimi tardo-medievali e quattrocenteschi, per avviare attraverso di essi la ricostruzione del processo di colonizzazione ed insediamento del territorio circostante e per elaborare il processo di formazione e l'evoluzione delle famiglie locali, spesso assai importanti ed in relazione anche col mondo cittadino e con il capitolo (ricognizione questa da integrare per lo studio della società e dell'economia locali, del costume, con altre fonti quali i rogiti notarili ed i processi criminali). In quest'ultima direzione di studio mi soccorse non poco la cortesia del dott. Montanelli, proprietario di uno dei più importanti edifici della Scola di Vimignano, che mi fornì un discreto, sebbene fondamentalmente tutto moderno e ottocentesco, nucleo documentario relativo alla famiglia Parisi, stata proprietaria di edifici monumentali della zona quali appunto alcune case della Scola, Costonzo, Ca' d'Orè, ecc. ed illustrata da numerosi notai, ecclesiastici, ufficiali delle milizie bolognesi, ecc. Il lavoro svolto in questa duplice direzione fu assai consistente e solo in minima parte trovò espressione nella mostra documentaria che si tenne a Grizzana presso il Centro di Documentazione Giorgio Morandi dal settembre 1983 al marzo 1984 e nel relativo rapporto, La montagna sacra. Tutela, conservazione e restauro del patrimonio culturale nel Comune di Grizzana (Alfa, Bologna, 1984), dove compaiono, insieme al mio, altri contributi della D'Amico, dell'Adamoli, della Giudici, di Guidotti, Quattrocchi e Tarozzi. Per ciò che riguarda il mio contributo, a modificarne abbastanza profondamente íl contenuto rispetto alla più ampia impostazione iniziale stava un importante quanto fortunoso rinvenimento: la leggenda medievale autentica del Sant'Acazio e dei diecimila martiri venerati nel Santuario stesso, leggenda sulla quale, non sapendosene fino ad allora nulla, l'unica cosa che si potesse affermare era la sua sostanziale inattendibilità, ma intorno alla quale erano circolate svariate e suggestive quanto non provate ipotesi. Per il periodo medievale lo stato della ricerca risultava abbastanza disperante: da un lato infatti appariva evidente che quello era il periodo più importante nella storia del Santuario e della zona, il periodo in cui si erano fissati i vari culti ed edifici monumentali, dall'altro non emergevano dall'Archivio del capitolo documenti nuovi capaci di chiarirne concretamente le origini. Montovolo e le terre circostanti comparivano sempre e soltanto nelle elencazioni generali dei possessi donati dal vescovo al capitolo senza alcuna distinzione, in bolle e privilegi in parte autentici ed in parte apocrifi, già sostanzialmente noti e largamente utilizzati, così come già sostanzialmente utilizzati fin dall'erudizione settecentesca (ad esempio dal Calindri) erano i pochi altri documenti di natura diversa che era dato reperire. Solo a partire dalla metà del Quattrocento, dalla ripresa demografica, socio-economica e culturale del Rinascimento, che in Bologna si era espressa nei Capitoli col sovrano pontefice (ed ex vescovo) Nicolò V e nella Signoria bentivolesca, era dato reperire una prima parziale documentazione specifica (relativa ad esempio ai restauri della chiesa di S. Maria della Consolazione, ma non agli affreschi di S. Caterina). Tale documentazione si intensificava nettamente a partire dagli anni Ottanta dello stesso secolo, confermando ancora una volta la centralità che nella vita politica bolognese aveva avuto il vescovato del Cardinale Giuliano della Rovere che, con la difesa del ruolo dei vescovo e del capitolo, delle loro proprietà e giurisdizioni, era venuto gradatamente costituendo nella città un saldo polo di opposizione ai Bentivoglio, coronato poi nel 1506 e sotto il nuovo vescovo Grassi, quan-do il della Rovere era divenuto Giulio II, col riassoggettamento della città. Tutto ciò che per il periodo medievale si poteva formulare era dunque sostanzialmente acquisito: a parte le ipotesi di scontri tra Bizantini e Longobardi o tra Longobardi e Franchi (le battaglie dei paladini) su cui ritorneremo, che si volevano riflesse dalla leggenda acaziana, c'erano l'acquisita certezza di una precoce penetrazione longobarda dalla Toscana prima della definitiva pe-netrazione dal Panaro nel 727 e perciò proprio il prolungato attestarsi di un confine tra Esarcato e Longabardia lungo la linea Vigo, Montovolo, Savignano, Montecavalloro, Labante, Roffeno, e il graduale emergere nella zona di larghi possessi vescovili poi meglio definiti dopo la donazione al capitolo del vescovo Adaifredo nel 1054 dalle successive conferme pontificie e imperiali (problemi questi ultimi complicati da documenti apocrifi facenti risalire tale dominio ad una donazione imperiale al vescovo Basilio nel 363 o dalla citazione temporanea su Monte Palense o Montovolo di un monastero non altrimenti documentato). In questa problematica iniziale e nel persistere di un consistente substrato culturale bizantino si poteva ipotizzare avessero trovato la prima formulazione le devozioni di Montovolo, orientaleggianti, anzitutto appunto la stessa dedicazione della chiesa santuariale a Santa Maria della Consolazione, poi il culto del martire bizantino Acazio (la cui passio ortodossa aveva trovato formulazione poco dopo il Mille nel monastero greco-basiliano di Grottaferrata), incongruente con un suo ipo-tetico martirologio locale, ma santo noto su scala europea per la tendenza ad una ampia localizzazione in prevalente funzione militare, infine i culti di Santa Caterina d'Alessandria e della Santa Croce, in un certo senso anche di San Michele. (.....)      

AVVERTENZA 
Sono grato alla redazione di "Eclissi di Luna" per la correttezza ed accurata impaginazione del testo latino, della traduzione, e delle note della leggenda di S. Acazio e del testo critico che la accompagno', per la bellezza e pertinenza delle illustrazioni, lamento pero' che la nota introduttiva e la distribuzione su tre numeri e due anni dello scritto, certo dovuta ad esigenze editoriali, possa aver generato qualche equivoco. In particolare "fortunoso ritrovamento" della leggenda significava per me solo "inatteso, insperato" mentre dal testo del mio scritto ("Eclissi di Luna",a.III, n.2, p. 22) era esplicitamente affermato che il cabreo del canonico Pierizzi e la leggenda mi erano state segnalate dall'amico Mario Fanti, archivista arcivescovile e dell'Archiginnasio e eruditissimo storico bolognese. Cio' che rivendico non e' il ritrovamento ma l'immediato collegamento di quella leggenda con le vicende politico - militari della valle del Reno ed in particolare con l'incendio "ex immissione diabolica" della chiesa di S. Maria di Montovolo, che non fu evento fortuito ma un preciso atto militare agli inizi del conflitto mortale tra la Chiesa e Federico II in cui Bologna fu per molti versi l'epicentro, l'ombelico del mondo. A queste conclusioni ero giunto autonomamente prima della segnalazione della leggenda ed era per me evidente che l'estesa colletta per la ricostruzione della chiesa indetta dall'arcidiacono e facente funzione di vescovo Ottaviano Ubaldini fosse stata accompagnata da una altrettanto ampia azione di propaganda antifedericiana. Quello che fu fortunoso e insperato era che questa predicazione politico - religiosa contro l'anticristo scomunicato e denunciato autore del De tribus impostoribus fosse legata ad uno specifico e - diciamolo pure - grossolano falso, anche se lo stesso imperatore - ed era ampiamente noto dagli scritti del Kantarowicz - aveva esplicitamente denunciato tale pratica da parte della Chiesa. La leggenda del S. Acazio bolognese era percio' una precisa conferma della violenza ideologica e materiale dello scontro, della sua irreversibilita' e dell'impossibilita' di conciliazioni. In base a molteplici considerazioni che in seguito sviluppero' ritengo da tempo che all'origine del falso non sia solo l'arcidiacono, poi vescovo e cardinale Ottaviano Ubaldini, talora ritenuto infido e propenso alla mediazione, ma (per la sua formazione e prolungata e determinante presenza in Bologna e specificamente anche nelle vicende della valle del Reno, per la sua personalita' complessiva) lo stesso pontefice Gregorio IX, gia' canonico renano e vescovo d'Ostia, legato pontificio per l'Italia del centro nord e quindi immediato "antecessore" dell'Ubaldini. Questa tesi mi sembra convalidata anche dal fatto che la versione della leggenda bolognese sembra derivare piu' direttamente dal testo della biblioteca vaticana. Le molteplici puntualizzazioni, anche specificamente documentarie (ad es. il trattato segreto tra il vescovo di Pistoia ed i Panico immediatamente dopo la vittoria militare - sconfitta politica di Federico II a Cortenuova nel 1237 e in concomitanza al suo soggiorno in Bologna) non lasciano dubbi sull'interpretazione della leggenda e sul complesso degli eventi che, ancora con qualche cautela, davo nel 1983 in occasione dei restauri (Verso il restauro storiografico), interpretazioni che trovarono forti resistenze forse per preoccupazioni piu' politico - ideologiche che per riserve strettamente storico-documentarie, tanto che per quasi quarant'anni su di esse e' calato il silenzio e non se ne trova traccia neppure nei tre splendidi volumi federiciani della Treccani. Allo stesso modo trovarono forti opposizioni altri riferimenti ed affermazioni dello scritto del 1983, tra cui, ad es., il riferimento ad Alexander Newskij e il parallelo Fossalta - Stalingrado. Nella brevita’ del tempo e dello spazio che mi fu concessa non nascondo che, per farmi capire e per far emergere l’importanza della vicenda, fui costretto ad affermazioni forti, ma non le rinnego affatto. Tra l’altro Newskji e la battaglia del lago Peipus e le vicende di Bologna e di Montovolo furono contemporanee e strettamente collegate. Gli eventi che coinvolsero Bologna e i nostri personaggi - questo era il centro del mio discorso - non furono piccoli eventi di “storia locale” ma fecero parte di sconvolgimenti e di una “guerra mondiale e totale” che coinvolse tutti i continenti ed i popoli all’epoca noti, tutte le religioni, le ideologie, le economie, le conoscenze tecnico - scientifiche, furono eventi di eccezionale modernita’, tanto che le loro conseguenze perdurano tuttora, dopo ottocento anni e infiniti altri rivolgimenti che - in larga misura - continuarono ad essere condizionati dalle scelte e dagli eventi di quel momento. Non nascondo anche che lo scritto del 1983 fu fortemente influenzato anche dagli eventi strettamente contemporanei, mondiali ma anche specificamente italiani e bolognesi (direi persino della stessa universita’ di Bologna) del 1983 - 84, eventi su cui si e’ ben lungi dall’aver fatto luce. Il quadro Mnemosine di Valerio Adami che sigla l’intero blog fa esplicito riferimento ad essi. Nello scritto del 1983 citavo con rilievo due “canzoni” di Guccini: Bologna e Bisanzio. Anche se qualcuno storcera’ il naso, le cito di nuovo: la mia impressione e’ che i fianchi della vecchia signora - nonostante la pandemia in corso - siano diventati ancora un po’ piu’ molli e, quanto a me, ormai avanzati nel XXI secolo e alla soglia degli 80 anni, in Filemazo ancora mi riconosco e lascio agli altri le certezze che la storia ha smentito e ancora smentira’, cerco ancora con ansia e pieno di dubbi nel passato e nel presente una difficile aletheia, cerco di intravedere le linee del futuro e, restio ad ogni visione apocalittica, cerco di capire se per caso il grande Newton (costretto a nascondere il suo antitrinitarismo e arianesimo) non fosse buon profeta a ipotizzare la fine del mondo intorno al 2060. Peccato (o fortuna?) che non ci saro’ a vedere se era nel giusto. E sento ancora, come nel 1983, la contemporaneita’ di ogni storia e che non possa essere semplice erudizione e, tanto meno, “erudizione locale”. Penso che, se vogliamo che la previsione di Newton non si avveri, sia urgente che ogni popolo, ogni religione, ogni partito, ogni gruppo, ogni individuo proceda a fare una profonda e spregiudicata analisi del proprio passato, a rinunciare ad ogni pretesa di primato e di suprematismo, a riconoscere apertamente i propri errori come viceversa quanto gli altri popoli e le altre religioni e ideologie abbiano contribuito al comune “progresso”. Senza di questo, se insisteremo solo sulle foibe e le colpe degli altri senza riconoscere le nostre invasioni e stragi, i nostri campi di concentramento e sterminio, non ci sara’ alcun incontro, alcun possibile perdono, alcuna riconciliazione. Non ci sara’ futuro. Per me Montovolo e la leggenda di S. Acazio erano e sono tutto questo. Aletheia kai eleutheria. 

La Vigna, 15 settembre 2020 
 Alfeo Giacomelli


Salerno, Museo Diocesano, frammento di Exultet, probabilmente stata realizzata nello scriptorium salernitano nel terzo decennio del XIII secolo. Il potere Temporale; Federico II legislatore.

 
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