La Comunità di Capugnano e le Chiese di S. Michele di Capugnano e S. Maria di Castelluccio


"Capugnano e Castelluccio, una Comunità e le sue Chiese". Prefazione di Mario Fanti

Con piacere ho accolto l'invito del Gruppo di Studi alta valle del Reno di premettere alcune considerazioni a questa ricerca di storia parrocchiale su Capugnano e Castelluccio. In primo luogo perché le ricerche di questo tipo mi stimolano sempre in modo particolare, avendone condotte io stesso parecchie nel corso di quasi quattro decenni, sia in ambiente urbano che rurale. ln secondo luogo perché è motivo di soddisfazione per me vedere come vari temi che avevo avuto modo di indicare in ricerche che allora, per la nostra zona, potevano considerarsi pionieristiche (come quella sulla parrocchia di Granaglione o quella sulle visite pastorali di Lizzano in Belvedere), vengono ora sviluppati e approfonditi. Infine perché è piacevole constatare, su un piano generale, come il filone storiografico "parrocchiale" che fino a non moltissimi anni fa era relegato fra le espressioni secondarie di quella sottospecie della storia che andava sotto il nome di "storia locale", goda oggi di un'attenzione e di un'apprezzamento che era utopistico sperare, e abbia progressiva-mente affinato i suoi strumenti di indagine e ampliato il raggio della sua visuale e dei suoi raffi onti. In realtà negli ultimi decenni, nel contesto italiano attraverso ricerche sulla vita parrocchiale che spaziano dalla storia istituzionale a quella politica e sociale, dalla demografia all'economia, dal rapporto fra clero e popolo a quello tra comunità religiosa e comunità civile, dalla storia della pietà a quella della mentalità, è stato possibile conoscere e comprendere quello che prima a molti, anche fra gli "addetti ai lavori" (per non parlare degli altri, credenti o no), sembrava un mondo chiuso e uniforme , espressione della vicenda plurisecolare, monotona e non molto interessante, di plebi affaticate, perennemente ai margini della storia e costantemente in ritardo sulle "magnifiche sorti e progressive" distillate negli Oratori urbani dell'intellettualità più o meno "organica" e della grande politica. Ciò malgrado le suggestioni e gli esempi che venivano dalla scuola storica transalpina, dagli "Annales" alla sociologia religiosa. Da alcuni decenni la ricerca sul campo, condotta in una pluralità di situazioni diverse convenientemente approfondite e comparate, si è incaricata di collocare al giusto posto la storia delle pievi, delle parrocchie, dei santuari, delle confraternite, come chiave indispensabile per l'apertura di molte delle serrature di cui è munita la porta della ricostruzione storica. Di ciò anche questo libro fornisce una evidente dimostrazione. L'esemplare ricerca di Alleo Giacomelli che (e lo si capisce) non è un fatto episodico ma il frutto di vent'anni di studio su ogni genere di fonti, ci presenta il quadro di una parrocchia-comunità della montagna bolognese, quella di Capugnano e Castelluccio, che pur presentando, sotto alcuni aspetti, connotati eccezionali, è comunque largamente rappresentativa di una realtà complessa, vivace e tutt'altro che chiusa nella cerchia dei suoi monti e avulsa dalle correnti della grande storia. Chi avrebbe potuto sospettare, in realtà come queste, la precoce riforma rigoristica e pretridentina di un don Martino Zanini? O la ideologia politico-istituzionale della piccola patria montanara espressa dal cronista-segretario della Comunità, nell'ottica di un repubblicanesimo che guardava non solo alla situazione bolognese, esemplare per più versi, ma addirittura a quella di Venezia che restava la repubblica per eccellenza in tempi di restaurazione aristocratica, neofeudale e regalistica? Chi avrebbe potuto immaginare, prima di questa ricerca, l'esistenza di una cappella "nazionale" dei capugnanesi a Bologna, le precoci forme di istruzione, tra scuola e seminario informale, a Capugnano e Castelluccio, la fondazione di una casa religiosa femminile che ricorda il beghinaggio di altri contesti storici e geografici, l'influenza dei capugnanesi nella vita civile e soprattutto religiosa della città? E un ricchissimo tessuto di vita religiosa, strettamente intrecciato con quella civile, che si dispiega in ogni campo, nel bene e nel male: nell'iconogralia sacra delle chiese che obbedisce a un disegno didascalico-religioso ma anche di celebrazione civile, familiare o comunitaria; nella coincidenza fra sede parrocchiale e sede della Comunità e nella compenetrazione dei rispettivi archivi; nel coinvolgimento di molti ecclesiastici nelle lotte familiari e banditesche del Cinquecento che cesseranno solo per la fermezza di Sisto e il prevalere della riforma tridentina. E ancora: il giuspatronato popolare, l'opera" per il mantenimento della chiesa, le confraternite laicali, i benefici ecclesiastici di diritto familiare che collegano per secoli famiglie e parrocchia e contribuiscono a determinare la frequenza delle vocazioni ecclesiastiche; tutta la complessa rete di rapporti che legavano chiesa e popolo, clero locale e Comunità, emerge dalla ricerca di Alfeo Giacomelli con assoluta nettezza. Non meno persuasiva è l'analisi delle vicende attraverso le quali, dal culmine cinque-secentesco dell'integrazione fra parrocchia e Comunità civile, si passa alla separazione in due della originaria imitò parrocchiale, alla crisi economica e ideale della Comunità e, tramite lo "shoc" rivoluzionario fra Settecento e Ottocento, mai digerito dalle popolazioni che diedero luogo ai moti del 1809-1810, alla restaurazione politica che, paradossalmente, segnò l'inizio di quel processo di sfasciamento dell'antico contesto paesano-parrocchiale culminato nel nostro secolo con la grave perdita della memoria collettiva che oggi da più parti si cerca, però ancora timidamente, di recuperare. Giacomelli ci tiene a far sapere che il suo testo è un tentativo di mediazione fra esigenze scientifiche e divulgative, in cui molti ulteriori documenti sono stati omessi o non sviluppati in tutta la loro potenzialità; sarà vero cenamene per chi conosca le sue qualità di ricercatore instancabile e incontentabile: ma credo di non esagerare affermando di aver letto pochi testi del genere altrettanto ricchi, pregnanti e stimolanti come quello che egli considera frutto di un compromesso fra esigenze non facilmente conciliabili. Il lavoro è completato dalla ricerca di Edoardo Penoncini e Renzo Zagnòni sugli oratori dell'area capugnanese e castelluccese: si tratta di segni diffusi di una pietà non soltanto popolare, di punti di riferimento nel contesto geografico e demografico e, non di rado, di ulteriori simboli autoidentificativi di borghetti e villaggi all'interno della realtà parrocchiale, una specie di secondo livello. Anche qui le mutate condizioni sociali hanno fatto sentire il loro peso, tuttavia è interessante constatare l'esistenza di insospettabili elementi di continuità con un passato lontano: si veda il caso dell'oratorio di Cà dè Ciocci , eretto, si noti bene, nel 1975 e al quale ben presto si sono collegati racconti di segni, o presunti tali, di natura soprannaturale che ci riportano a ben diverse temperie religiose e culturali. Questo è dunque un libro esemplare e ricchissimo, stimolante e problematico frutto di una ricerca penetrante, onesta e di prima mano; e come tale costituisce uno di quei ricuperi di memoria e di cultura, cioè in definitiva di coscienza, di cui nella società civile e nella comunità ecclesiale si avverte ogni giorno la pressante necessità. 

 Mario Fanti

La Comunità di Capugnano e le Chiese di S. Michele di Capugnano e S. Maria di Castelluccio. Strutture ecclesiastiche, vita religiosa e vita civile in una comunità dell'alto reno in età moderna, di Alfeo Giacomelli

DALLE ORIGINI ALLA CRISI TRE-QUATTROCENTESCA 

Sul fondo etnico di quei gallo-liguri che lungo filo da torcere dettero alla penetrazione romana, il territorio capugnanese fu poi certamente romanizzato anche se sono da respingere etimi come Caput Jani (Testa del dio Giano) e Castrum Luci (Accampamento di Lucio Silla), che pure i capugnanesi vollero ripetere dal Cinquecento ad attestare l'antichità e nobiltà delle loro origini. Caponiano o Capuniano è chiaramente un etimo di origine fondiaria, che potrebbe derivare da un gentilizio romano o fors'anche attestare un'antica vocazione alle osterie termali o di passo, mentre Castelluccio, che è nome tardivo, connotante solo una parte dell'originario territorio capugnanese, indica semplicemente "piccolo borgo, paesino" neppure necessariamente fortificato. I capugnanesi anzi non avrebbero mancato di vantarsi e gloriarsi della loro predestinazione cristiana se avessero saputo che un Capunius ebbe importanti incarichi palestinesi proprio negli anni della nascita di Gesù'. La storia del territorio capugnanese non dovette divergere sostanzialmente da quella di tutto l'alto Reno: graduale romanizzazione, invasioni barbariche e resistenza bizantina, penetrazione longobarda dalla Toscana, inserimento nell'impero franco, ecc. Un suo specifico territorio, è individuato già nel diploma d'Astolfo del 753 (forse però rielaborazione successiva) che concede a S. Anselmo ed al monastero di Nonantola il territorio belvederiano, sebbene poi non risulti espressamente citato nella conferma di Carlo Magno del 775. Toponimi ancor vivi nel '500 come Campo di Alboino o Scanno regio, sembrano comunque attestare una prolungata presenza longobarda che, come è noto, evolverà nel sistema della "signoria stagnense", a cavallo del Reno, inglobante appunto anche il Capugnanese, periodo e assetto politico intorno agli Attoni ed a Matilde di Canossa che potrebbe essere ancora attestato da un altro persistente toponimo, nell'area dei boschi comunali, la Vallimenga (ossia la Vallis dominica). In rapporto a questa situazione politica, la prima cristianizzazione del suo territorio avvenne a partire dall'antico e vastissimo plebanato delle Capanne o di Soccida, interessante anche molti comuni-parrocchie poi decisamente toscani e vitalissimo, come vedremo, fino al 1585. L'emergere di una specifica comunità-parrocchia capugnanese fu sicuramente più tardo, connesso all'espansione demografico-economica successiva al Mille. La prima chiesa di Capugnano fu eretta nel 1106-1111 (ancora agli inizi del '600 i capugnanesi conservavano nel loro archivio comunale il rogito di fondazione di Baruffo Baruffaldi) e fu dedicata come l'attuale a S.Michele, santo di grande devozione presso i Bizantini, ma fatto proprio anche dai Longobardi ed al quale erano particolarmente dedicate le vette. Era l'unica chiesa della comunità, ancora assai ristretta nel suo insediamento di cresta tra il Poggio e Castelluccio (600-800 m), e perciò era posta nella località che conserverà il nome di Pra de' preti, in una collocazione centrale ed isolata rispetto all'insediamento originario. Tutto il restante territorio verso gli alpeggi ed i tre fondovalle del Silla, del Reno, del Rio Maggiore era ancora costituito da vasti boschi comunitari che solo in piccola parte saranno intaccati coll'espansione del Duecento per riprendere il sopravvento nella depressione tre-quattrocentesca. Capugnano cominciò a rientrare forse nell'area politica bolognese nel 1197 (anno a cui datava un suo privilegio) e fu poi coinvolta nelle lotte tra Bologna e Pistoia per il controllo dell'alto Reno che si conclusero nelle note transazioni del 12194. Intorno male data vediamo anche delinearsi più nettamente il comune civile: un arengo degli uomini di Capugnano fatto il 6 settembre 1220 davanti alla chiesa di S.Michele ci mostra infatti la partecipazione di due consules, due milites (nobili) e due homines (popolari) all'impegno di destinare l'arretrato di £. 115,14 della colletta per le crociate alla fortificazione di un non meglio precisato fortilizio locale (al Poggio? al Castellaro? alla Rocchetta sul Reno?). Il comune sembra dunque connotarsi ancora per la compresenza di elementi nobiliari e popolari ed in tale atto figurano anche i due primi sacerdoti noti della comunità, Tolomeo e Domenico, e anche un Rustico abate di Vaiano, monastero con cui la comunità risulterà collegata anche in seguito. (.....).



 
Powered by Blogger