Quanto vale una donna? Un uxoricidio a Casa Nasci.





UN UXORICIDIO A CASA NASCI 
A.S.B., ARCHIVIO DEL TORRONE, Sante Tentoni, rub. 7410, fasc. 11 Boschi di Granaglione 1693. Pro curia Turroni Bononiae contra Iustum filium Petri de Vangelistis de suprascripta villa virum d. Peregrinae. Super homicidio commisso in personam Peregrinae Nasci ictu archibusiatae. Cond. in pena vitae. 

Il 2 dicembre 1693 il massaro di Granaglione, con nota scritta del cancelliere Lodovico Vivarelli, denunciava al Torrone che il giorno precedente, 1 dicembre, Giusto di Pietro Vangelisti dei Boschi aveva ucciso con una archibugiata la moglie Pellegrina del fu Matteo Nasci, con tre palle nel braccio manco e sotto la poppa manca. La donna era morta lo stesso giorno dopo ricevuti i sacramenti. "Se più saprà porgerà".

Alessandro Tiarini, Martirio di S. Barbara (part.), Reggio Emilia, Chiesa di S. Pietro

Il processo Lenzi - Santini




L'OMICIDIO DI MARCO DI PACE SANTINI AL SAMBUCEDRO DEI BOSCHI DI GRANAGLIONE (1694), LA CONDANNA (1708), LA CONTINUATA LATITANZA E LA GRAZIA (1717) DI LORENZO DI GIOVANNI LENZI. 

Una insignificante vicenda privata o drammatiche lotte intestine alla comunità di Granaglione ed all'Alto Reno in un periodo di totale riequilibrio politico - religioso - sociale e di costume della società europea?

Il presente studio, pressoché ai suoi inizi, è nato da una ricerca ormai annuale sulla famiglia Lenzi nelle sue molteplici articolazioni (nobili e popolane, montanare e urbane, intellettuali e mercantili, artigianali e contadine, medievali e moderne, granaglionesi e capugnanesi, ma anche pistoiesi, fiorentine, bolognesi, europee e transoceaniche, ecc.) Una ricerca senza alcun fine di lucro o di potere, sulla quale è nata una fattiva collaborazione con l'apporto proficuo di diverse competenze e attitudini, della quale non si intravvede minimamente la fine, anche perché nessuno intende dedicarle il tempo pieno; che ha conosciuto entusiasmanti momenti di scoperta e inevitabili momenti di stanca, che avrà anche una base genealogica (per il momento meglio tenersi sul plurale, molteplici e frazionate basi genealogiche) ma che non ha mai inteso essere una ricerca genealogica quanto sondare molteplici e diversi periodi, molteplici e diverse personalità e situazioni e verificare se vi siano stati tra situazioni e personalità spesso apparentemente lontanissime momenti d'incontro, con quali risultati ed effetti.
 Una ricerca che vuole anzitutto essere sondaggio di fonti, di metodologie, di problemi, che non vuole dimostrare nulla ma che, al contrario, dall'indagine diretta delle fonti vuole trarre infinite sollecitazioni in tutte le direzioni, senza preconcetti ma abbandonandosi al fluire stesso della storia e della vita degli individui e delle comunità, della società. Una ricerca che, inevitabilmente, per essere efficace è destinata a frammentarsi in infiniti rivoli, probabilmente a portare a numerosi studi specifici, e.....inevitabilmente, a restare incompiuta, poiché "tutto è in tutto" e panta rein, tutto scorre, non si può arrestare la vita. Ma, la storia insegna, spesso l'incompiuto può essere più stimolante dell'opera finita e leccata, generica e ideologica.
Decidendo di avviare la pubblicazione on line di questo primissimo abbozzo intendiamo anche fare un'esperimento privato e insieme "didattico": mostrare come nasce e si sviluppa una ricerca viva, muovendo anche da motivi del tutto occasionali, come prenda via via corpo intorno ai problemi che i documenti pongono ed alle ipotesi che su di essi lo studioso sviluppa, costretto non di rado a rivedere e correggere i propri giudizi sulla base di nuovi documenti ed acquisizioni, di una conoscenza di fatti e situazioni che via via si allarga e si precisa.
Lo spunto iniziale è una vicenda giudiziaria in cui il ricercatore si deve porre nei panni del giudice inquirente (e quindi, inevitabimente, giudicare anche il suo operato), entrare nella psicologia e nelle motivazioni dei protagonisti e del loro ambiente, ma anche del potere e degli stessi giudici, nella mentalità di una società in divenire. Già fin dagli inizi si intravede che nei fatti ed anche nei fatti criminali vi sono precise responsabilità individuali ma anche responsabilità collettive. La grande storia recente ci ha insegnato che non raramente una intera società può con le motivazioni più diverse (ideologiche, razziali, economiche, religiose ecc.) diventare insensibilmente criminale e, purtroppo, ci insegna anche che la "storia non insegna nulla", che gli stessi errori sono destinati a riprodursi all'infinito, con le motivazioni più diverse e talora "nobili" (l'amor di patria, il progresso, la fede, ecc.).
Sviluppando la nostra inchiesta rispetto ai giudici contemporanei noi ci troviamo in una situazione di svantaggio ed insieme di vantaggio. Di svantaggio, perchè moltissimi dati che per i giudici del tempo erano noti ed ovvi (dalla cultura materiale ai costumi, dall'organizzazione politico – sociale ai valori, dal paesaggio all'economia, ecc.) noi li dovremo recuperare con fatica; con vantaggio, perché, grazie ai molteplici archivi conservati, noi potremo disporre di una massa di dati di cui gli investigatori del tempo non potevano disporre (dai libri parrocchiali agli estimi, dai rogiti notarili alla corrispondenza ed alle decisioni dei poteri politici) e, degli avvenimenti, possiamo conoscere il prima ed il dopo ed inserire il tutto in una dimensione estremamente allargata. Ma, soprattutto, noi avremo il vantaggio di poter emettere dei giudizi provvisori, rivedibili, senza il rischio di condannare innocenti e distruggere vite. C'è, è vero, anche una responsabilità dello storico che è quella di mettere in circolazione giudizi ed ideologie erronee. Decidendo di partecipare la ricerca nel suo stesso divenire, ovviamente noi mettiamo in discussione le nostre convinzioni, i nostri dubbi, accettiamo il dialogo. "Se sbaglio mi corrigerete", e non abbiamo autorità esorbitanti e dogmi da difendere, cerchiamo una "aletheia", una verità con la v minuscola, parziale e provvisoria, che può convivere benissimo con altre verità.

Vista della Chiesa di Sant'Agostino, Boschi, Granaglione, da "Le chiese parrocchiali della diocesi di Bologna, di Enrico Corty

Estimi di Capugnano: 1451-1475



Capugnano: insediamento in una comunità montana dal XIII al XVII secolo (parte seconda)

Capugnano, chiesa di San Michele da Discoveraltorenoterme

Estimi di Capugnano: 1306 - 1485



Capugnano, insediamento in una comunità montana dal XIII a XVII secolo (parte prima)

Questo studio fa parte di una più ampia ricerca della comunità montana, nei suoi vari aspetti, dall'ambiente alle produzioni, dalla cultura materiale alle vicende demografiche, dalla dinamica sociale alla variazione della pietà religiosa, ai conflitti interni, ecc. Nella deprecabile perdita degli assai consistenti archivi comunitari - avvenuta nell'insorgenza del 1809 - cercherò di utilizzare fonti diverse quali archivi e registri parrocchiali, archivi vescovili e riviste pastorali, materiale delle assunterie cittadine e dell'archivio comitale, rogiti notarili soprattutto, poi patrimonio artistico, indagine diretta sui luoghi, ecc. Anticipo qui qualche risultato intorno al processo di colonizzazione ed alle vicende demografiche precedenti l'inizio di una documentazione organica, databile al 1580 circa per sottoporre a verifica i risultati raggiunti ad auspicare l'estensione dell'indagine ad altri contesti.



La versione sopra riportata è una rielaborazione in formato testo e poi PDF dell'originale presentata all'inizio del post al fine di rendere più agevole la lettura e la funzione di "ricerca" all'interno del documento.

La villa di Castelluccio in un dipinto dei primi del '900

Le case torre, la loro funzione e le famiglie che l'abitarono



L'immagine prevalente della montagna bolognese del passato, specie dell'età moderna, è quella di una società abbastanza uniforme e povera, di cui si percepiscono per lo più solo determinati aspetti della cultura materiale o della religiosità, quasi in una dimensione del tutto folklorica.
Ovviamente non si vuole ribaltare questa visione, che una sua matrice di validità l'avrà (se mai occorrerebbe approfondire criticamente anche questa dimensione di cultura materiale), si vuole però insistere sull'esigenza di non ricondurre questa società ad un'uniformità astratta e senza tempo, di vederne concretamente l'evoluzione storica e la complessità ambientale e strutturale, economica, sociale, culturale, sia nel tempo (dimensione diacronica ed evolutiva) sia in uno stesso periodo (dimensione sincronica e differenziazioni socio — economiche).
Allo stesso modo non si potrà considerare la montagna come una realtà chiusa, ma la si dovrà vedere nella sua costante e complessa interrelazione con la città (e possibilmente senza troppo calcare, come si è fatto in passato, sull'idea della subordinazione comitatina e della dominazione urbana) e la si dovrà correlare con le realtà regionali vicine, in un orizzonte allargato.
Tutte le strutture della montagna, pur riflettendo indubbiamente anche una specifica vocazione originaria, si sono profondamente modificate nel tempo e debbono perciò essere recuperate nella loro evoluzione. Ciò vale anche per la casa e la famiglia, che sono l'oggetto di questo incontro, ma vale anche per la mentalità collettiva ed individuale, per il sentire civile e per l'esperienza religiosa che con la casa e la famiglia hanno costantemente interagito.



La versione sopra riportata è una rielaborazione in formato testo e poi PDF dell'originale presentata all'inizio del post al fine di rendere più agevole la lettura e la funzione di "ricerca" all'interno del documento.
Casaglia di Caprara (Marzabotto), Borghetto "Le Murazze", la torre (disegno di Enrico fantini)

Popolazione e società in un'area dell'alto Appennino bolognese



Gli storici della montagna bolognese hanno solitamente utilizzato in senso generico i termini di comunità e di famiglia, potremmo dire anche di parrocchia e di chiesa, senza riflettere sufficientemente sulle diverse strutture che sottendono nelle diverse epoche. L'incontro attuale tra antropologia e storia permette un'analisi molto più articolata e significante, di cui qui accenneremo solo alcune grandi linee. E' evidente che la comunità capugnanese del '300-'400, raccolta in un ristretto spazio di cresta, completamente isolato da fiumi e foreste rispetto alle altre comunità, costituita al più da un centinaio di persone raggruppate in una trentina di famiglie che pur essendo patriarcali sono anche nucleari, è ben diversa dalla comunità cinquecentesca e moderna, che con coltivi, prati, castagneti, vigne, e con lo stesso sfruttamento sistematico del bosco ha antropizzato tutto il proprio spazio fino a saldarsi e compenetrarsi con le comunità vicine.

Quadri, Giovanni Lodovico (inc.), Descrizione di tutti i luoghi, ville, case, fiume Reno, terra della Porretta, ed altro contenute nel presente disegno, 1723 - Biblioteca Digitale dell'Archiginnasio

Bibliografia del Professor Alojzi Sajkowski (1952 – 1990)



Bibliografia del Professor Alojzi  Sajkowski  (1952 – 1990), a cura di Ewa Lechniak e Barbara Judkowiak.



Le bolle pontificie relative all'Università di Bologna dal 1450 al 1800 con particolare riferimento a Benedetto XIV



Il rapporto tra Università e Chiesa fu probabilmente più debole in età moderna, quando Bologna passò sotto il dominio della Chiesa, che in età medievale, quando era comune autonomo o solo periodicamente o latamente soggetto. La Chiesa infatti non eliminò o non riuscì ad eliminare la specifica autonomia della città, all'interno della quale l'Università godeva da tempo di sue specifiche autonomie.


L'evoluzione socio-patrimoniale di una famiglia centese nel '500-'600



Un ramo della famiglia Fabri e l'acquisizione fortunosa del suo patrimonio al monastero bolognese di santa Margherita.

Le famiglie centesi - Atti del Convegno di Studi, novembre 2000


L'equilibrio della terra e delle acque. Territorio, economia e agricoltura in età moderna



Il territorio centese in età moderna costituisce un'area geografica, politico amministrativa, agronomica, antropologica ben individuata, di transizione tra Ferrarese, Bolognese e Bassa modenese. Come per l'aspetto religioso (diocesi), dal punto di vista idraulico e agronomico il Centopievese fa sostanzialmente parte dell'area bolognese e tuttavia è sotto il dominio estense che il sistema idraulico assume il suo aspetto definitivo, in larga misura conflittuale con gli interessi bolognesi e solidale con quelli ferraresi. Nel Ferrarese però, anche dal punto di vista idraulico e agronomico, il Centese costituisce un'area a sé, autonoma. E' l'area delle Partecipanze e insieme delle terre vecchie o alte (vecchie e alte in rapporto al basso e giovane Ferrarese, appunto), incentrate sul Reno e il Canalino di Cento.

Cento, Pinacoteca. Guercino, La mietitura

Per una storia di Cento in età moderna



Cento non è solo uno dei tanti piccoli centri della bassa padana, dotati di larga autonomia amministrativa, ma appunto una città con un suo territorio, con una sua specifica tradizione culturale, una sua specifica tradizione artistica. Lo studio della storia centese presenta perciò innumerevoli vantaggi: la città, il territorio, la popolazione costituiscono una struttura organica, quasi un ministato in età moderna, un microcosmo che riflette tutte le stratificazioni sociali, economiche, culturali di più ampi complessi urbani e territoriali, la più ampia periodizzazione della "grande storia", ma, contemporaneamente, è sufficientemente piccolo da poter essere studiato analiticamente, per totalità, in modo da poter valutare l'interazione reciproca di tutti i fattori.


Storia di Cento: il volto della città




STORIA DI CENTO DAL XVI AL XX SECOLO

Il volto della città: il catasto urbano del 1752

Alla metà del '700, quando in parallelo al catasto rurale fu realizzato anche un preciso catasto urbano, Cento non era più un borgo rurale ma una "terra" consolidata e popolosa che si avviava anzi a conseguire il riconoscimento di città. 


Bologna, i Grabiński e le legioni polacche



BOLOGNA E LA POLONIA NELLA DECADENZA DEL REGNO

La continuità dei rapporti tra Italia e Polonia è ormai oggetto di innumerevoli studi, nel cui contesto il ruolo di Bologna e della sua università è ormai noto. Questo contributo non potrà perciò apportare che alcuni elementi di precisazione marginale. L'attenzione si concentrerà sugli anni del tardo illuminismo e della decadenza della Polonia, in cui le due nazioni trovano nella crisi politica nuovi elementi elementi di riflessione comuni e le ragioni di una fraternità ancora più profonda che per il passato, che doveva sorreggere tutto il loro risorgimento, sentito come comune lotta di popolo per l'indipendenza e la libertà, e, nelle componenti più avanzate, anche per la democrazia.


La Madonna di San Luca e i polacchi



A richiamare la frequenza e profondità dei rapporti tra la società bolognese e la Polonia basta ricordare che il santuario della Madonna di San Luca, santuario del popolo ed in passato della "nazione" bolognese e quasi simbolo di autonomia repubblicana della stessa curi romana, è, per certi versi considerato dai polacchi in Bologna (e forse anche in Italia) il "loro" santuario e ciò non solo per la saldezza del culto mariano in Polonia e per un possibile parallelismo con la Madonna di Czestochowa o quella di Leopoli, ma anche per ragioni in parte occasionali, in parte più profonde e specifiche.

Ewa Lechniak Giacomelli - Dai quaderni dell'Associazione Culturale Italo-Pokacca "Malwina Ogonowska".

D.M. Viani, "Un miracolo di San Pio V" - 1660, Basilica di San Luca, Cappella Ghisilieri

Proprietari, affittuari, agronomi a Bologna. Le origini settecentesche della società agraria



Estratto da "Fra studio, politica ed economia: la società agraria dalle origini all'età giolittiana", Atti del 6° Convegno - Bologna, 13-15 dicembre 1990.



Ser Giulio di Corsino Zanini (Lustrola c. 1540 - Lizzano 1585). Un notaio, le sue torri, i suoi rogiti, le sue comunità e la sua gente.


Prime indagini sulla vita socio - economica, il costume, le istituzioni, la pietà e la devianza nell'alto Appenino bolognese del Rinascimento.
Sintesi e sommario dei rogiti dei Lenzi di Lustrola (1747 - 1805).
Prime considerazioni su alcune famiglie trattate nei rogiti.

Carta delle vocazioni agrarie della pianura bolognese desunta dal Catasto Boncompagni (1789-86)




ALLEGATO: CARTA TOPOGRAFICA DELLE VOCAZIONI AGRARIE DELLA PIANURA BOLOGNESE RICAVATA DAL CATASTO BONCOMPAGNI (1780-6) a cura di Alfeo Giacomelli

Presentazione di Lucio Gambi

Il tema del catasto Boncompagni, proclamato con chirografo pontificio del 25 ottobre 1780, entrò cospicuamente nella storiografia economica venticinque anni fa per merito di Renato Zangheri (La proprietà terriera e le origini del Risorgimento nel Bolognese, 1961, pp. 3-l76 e 158-185) che lo ha poi ripreso in più di una occasione negli anni seguenti  (ad es. in un articolo di "Archiginnasio" del 1956 e nel quinto volume di Storia d'Italia Einaudi, 1973: entrambi riediti in Catasti e storia della proprietà terriere, 1980). Questa insistita analisi di Zangheri consente di avere oggi un dettagliato ed esauriente quadro per ciò che riguarda I'ambiente culturale e politico in cui il. catasto fu pensato, gli scopi che il suo documento istitutivo si poneva e le lotte che il suo piano economico scatenò, la vicenda della sua effettiva formazione, le caratteristiche dei suoi procedimenti estimativi ecc. E nel quadro costruito da Zangheri sono già numerosi gli spunti che legano il catasto ai processi di replezione e conquista di una parte delle depressioni paludose della bassa pianura bolognese e ai Progetti di sistemazione fluviale intrapresi in questa zona fino agli inizi del secolo XVII e divenuti più incalzanti a metà del secolo XVIII. Così come lo sono i richiami alla utilità di ricavare dal catasto un disegno minuzioso delle reali condizioni dell'agricoltura bolognese negli stessi anni e una ponderata valutazione dei suoi punti forti (es. la canapa) e delle sue deficienze (es. l'allevamento).
A questo disegno si è dedicato nel presente lavoro Alfeo Giacomelli, dopo una esperienza di studio rivolta per parecchi anni ai riformatori bolognesi del periodo che ha il suo maggior esponente nel cardinale e poi nel papa Lambertini (ricordo i due quaderni che si incentrano su Carlo Grassi e le riforme bolognesi del Settecento, 1979). Già con una memoria del '79 (in "Fonti per lo studio del paesaggio agrario" , pp. 297-315) e poi con un'altra del 1981 (in "Problemi d'acque a Bologna in età moderna", pp. 123-172) e con un'ultima del 1983 (in "La pianura e le acque tra Bologna e Ferrara", pp. 101-254) Giacomelli aveva puntato la sua indagine alla definizione del paesaggio e alla individuazione delle aree chiave della pianura agricola bolognese. E qui finalmente, concentrando il suo studio sui documenti fiscali e iconografici del catasto, egli ci dà per la prima volta una affascinante ricostruzione a scala topografica dello stato di quest'agricoltura.
Ricostruzione che la natura della fonte, basata sopra la stima della capacità produttiva delle terre, costringe ad impostare secondo la intrinseca "vocazione" di ogni particella fondiaria, e non sulle effettive coltivazioni che vi erano in atto. Ma da essa emergono ugualmente (forse più drasticamente, per il rilievo dato alla matrice pedologica) le caratteristiche originali della paesistica rurale bolognese, che sono legate in modo strettissimo alla storia della formazione alluvionale e delle complesse permutazioni e variazioni idrografiche della pianura negli ultimi quindici secoli.
Per illustrare queste caratteristiche e la storia dei fiumi e delle terre a cui si innesta la loro formazione una storia molto più antropica che naturale -, Giacomelli ha dato al taglio espositivo del suo lavoro delle linee e degli intrecci fino ad oggi pochissimo praticati. Ad es. dove si sofferma sul tema dei rapporti fra   le tendenze in svolgimento presso 1'agricoltura bolognese e lo stato delle vocazioni agrarie della pianura; o sul tema dei rapporti fra queste vocazioni e la genesi dei suoli e la dinamica degli alvei e il procedere degli insediamenti; o sul tema dei rapporti fra le condizioni edafiche e idrauliche e i valori fondiari e le dimensioni aziendali.
Ne esce il quadro di un'area di pianura nient'affatto uniforme per qualunque tipo di rapporti e condizioni, ed anzi screziatissimo per composizioni paesistiche: come risalta egregiamente nella grande tavola delle vocazioni agrarie, che va segnalata anche per la sua nuova e coraggiosa e a mio parere molto indovinata soluzione figurativa, che usa come fondo topografico del disegno una splendida geoiconografia degli, stessi anni.
Le acute diversificazioni della pianura che questa analisi del catasto pone in luce, potranno alleggerirsi e contrarsi più avanti, a misure meno squilibrate, grazie ad una sistematica operatività della bonifica. E infatti secondo una interpretazione che Giacomelli ha sostenuto già più di una volta negli ultimi anni : è la bonifica, nella sua accezione più vasta, il cardine intorno a cui ruota I'empirismo riformatore bolognese. E che lo distingue da quelli degli altri maggiori centri culturali della penisola.
E' per quest'ampiezza e stimolazione di tematiche, per 1a ricchezza di risultati che 1'autore ha saputo ottenere dalla sua ricerca, che il nostro Dipartimento di discipline storiche ha desiderato promuovere la pubblicazione del presente lavoro, solo crucciandosi che la pochezza di fondi disponibili per una indagine che non riguarda né il nucleare, né il militare, costringa a contenere, il discorso, le iconografie, gli apparati documentari, a spazi più ristretti di quanto l'oggetto di studio avrebbe richiesto e meritato. 



Il maresciallo Gianluca Pallavicini (Genova 1697 - Bologna 1773) Erede politico-militare del principe Eugenio, protagonista dell'età dei lumi, fautore dell'equilibrio europeo e precursore dell'unità d'Italia liberale


Fino agli ultimi decenni mancava una visione d'insieme del conte maresciallo Gianluca Pallavicini Centurioni ed anzi si può dire che, se si escludono le note abbastanza puntuali inserite nell'Ottocento nelle genealogie del Litta, esistesse nei suoi confronti una sorta di damnatio memoriae. Soltanto in questo dopoguerra il quadro ha cominciato, lentamente, a mutare col progressivo emergere, su nuove basi critiche e documentarie, dell'età dell'illuminismo, dapprima con gli studi sulle riforme "teresiane" milanesi, poi sul catasto milanese - mantovano, sulla formazione della Trieste moderna, quindi coi fondamentali studi di Franco Venturi e della sua scuola, e infine, ci sia permesso di dirlo, coi nostri sull'ultimo ancora fondamentale ventennio di vita del maresciallo, quello bolognese - ferrarese - pontificio (1753 - 73). Su questo periodo, quando ancora studenti cominciaromo ad occuparcene, esisteva solo un accurato ma succinto e poco divulgato studio di Ostojal e qualche tesi, non brillante fatta fare da Luigi dal Pane. Che per altro Dal Pane ne avesse intravisto I'importanza anche per Bologna è dimostrato dal fatto che sognava di fare di palazzo Alamandini Bolognetti di via S. Felice, acquistato, ampliato e riqualificato dal maresciallo,la sede di un Istituto per la Storia di Bologna, che voleva dotato di una grande biblioteca e centro vivo di ricerca, laddove I'Istituto, in altra modesta sede, si è poi risolto nella promozione di più importanti, ma come immagine complessiva soppiantato dalle fondazioni bancarie. Il prestigioso palazzo Pallavicini, a parte gli studi della Landi, resta praticamente ignoto ai bolognesi e il documentato studio biografico ed economico che, sulla base dei rogiti, del copialettere, dei libri mastri e di innumerevoli altre fonti dedicammo al maresciallo studenti e nei primi anni di ricerca, resta manoscritto. Abbiamo potuto dedicargli solo pochi accenni nel contesto di altre pubblicazioni, del resto anch'esse molto sacrificate e tagliate. E' stato merito di Franco Venturi cominciare a intravedere il maresciallo nella sua completezza (ma invero non I'ultimo ventennio) e avviare la spiegazione di quella sorta di damnatio memoriae risalente a due momenti fondamentali: uno già contemporaneo e uno del secolo successivo, dell'età risorgimentale. L'aristocrazia genovese, ancora grande e potente, ma anche costretta a giochi opportunistici, che del Pallavicini si era servita per proteggere i suoi investimenti, si era trovata travolta nel 1747 dagli avvenimenti (1'occupazione imperiale, I' insurrezione popolare) e, per certi versi aveva cercato di scaricare il risentimento collettivo e popolare sul maresciallo, che in realtà aveva svolto più ruolo di mediazione che di collaborazione con I'occupante, salvo poi recuperarlo gradatamente perché fondamentale ai propri investimenti. Esattamente un secolo dopo la damnatio memoriae, anche se non esplicitata, era venuta dai giovani repubblicani mazziniani che delle grandi manifestazioni per il centenario dell'insurrezione genovese (e in quelle parallele della battaglia di Gavinana) avevano fatto la premessa dei moti rivoluzionari italiani e della prima guerra d'indipendenza, del 1848-49, slancio ideale fissato nell'inno di Mameli, oggi inno nazionale. Francesco Ferrucci e Balilla (i bimbi d'Italia si chiaman Balilla) divenivano i punti di riferimento di una guerra di popolo che doveva riscattare la libertà d'Italia dall'asservimento interno e dalla dominazione straniera e mentre la figura del Balilla veniva in gran parte costruita anche con falsi documentari, implicitamente, la figura del maresciallo doveva essere travisata come quella di un "mercenario" al servizio di un impero che asserviva le libertà d'Italia (travisamento favorito dall'esistenza di un altro ramo della famiglia divenuto effettivamente austro - ungarico). Non è nostra intenzione dissociarci da questi entusiasmi democratici e libertari, ma che vi fosse in essi anche una forte componente retorico - nazionalista sarebbe poi emerso nei successivi balilla di regime e nelle guerre non più liberatrici, ma imperialiste e soffocanti le libertà altrui, fallimentari, e oggi sentiamo largamente come "inutile strage" la stessa guerra del 1915-18.
Fortunatamente il contesto è oggi totalmente mutato e si è creato il clima adatto per il recupero della personalità autentica del conte e generale - maresciallo Gianluca, su autentiche basi documentarie. Nella tradizione dell'aristocrazia genovese, I'Italia è unita e repubblicana, non è più nazionalista e imperialista, ma inserita in un contesto che, pur attraverso difficoltà, punta all'Europa unita e, si spera, cosmopoliticamente aperta alle nazionalità e culture degli altri, e, al di là dell'attuale congiuntura economica, in un contesto di progresso economico e riequilibrio sociale. Ben lungi dall'essere stato un mercenario asservito di tutto questo il maresciallo Pallavicini è stato, viceversa, un consapevole "precursore" a cui oggi si può guardare come punto di riferimento, anche se, ovviamente, bisognerà evitare nuove fughe ideologiche e ancorarne la vita e I'opera agli specifici tempi e problemi. Comunque due cose vanno dette preliminarmente: grande generale e maresciallo dell'impero, il conte Gianluca non fu un militarista né puntò sulla guerra come momento fondante della propria grandezza e fortuna, fu anzitutto un cittadino genovese, pronto, nella tradizione della città, ad inserirsi costruttivamente nei più diversi contesti, e nella sua stessa azione militare furono sempre in primo piano i problemi dell'economia e della finanza, la comprensione che le guerre s.i vincono con la solidità delle istituzioni e I'organizzazione economica, ossia che, in primo piano doveva essere costantemente la vita civile e un progresso economico il più possibile partecipato dall'insieme della collettività e quindi anche dalle "piccole genti", dalla borghesia e dal popolo minuto. Gianluca Pallavicini fu sempre, anzitutto, un economista e un finanziere, un "capitalista" (ma invero anche un grande intellettuale) , era nelle sue matrici genetiche genovesi e familiari, e tra gli impressionanti staff di collaboratori pubblici e privati di cui si servì (intellettuali e letterati, artisti e artigiani, banchieri, mercanti, idraulici, agronomi, ecc.) queste componenti borghesi - popolari, ed anche contadine ed ebraiche, furono sempre in primo piano. In proposito vorrei richiamare che la figura del maresciallo può essere esemplare anche a capire le problematiche connesse al secolare dibattito sulle origini del capitalismo (Marx, Sombart, Weber, ecc.) che, non a caso ebbe uno dei suoi centri ideali nella Vienna del tardo impero e,tra le varie tesi voglio ricordare, con particolare consenso, quella di Lujo Von Brentano, insistente con concretezza documentaria sulla plurisecolare vicenda genovese. Significativamente lo stesso Brentano era di non lontane origini genovesi e la famiglia era stata tra le ultime a ricalcare I'esperienza del maresciallo: i Brentano si stavano nobilitando ed entravano al servizio dell'impero nei suoi ultimi anni di vita, quando egli se ne distaccava e cedeva il suo reggimento al cugino Giancarlo. A muoverli erano anzitutto gli investimenti finanziari ma, come il maresciallo capiva perfettamente e per certi versi anche favoriva, i tempi stavano cambiando con le riforme e l'età giuseppina; I'esercito si stava nazionalizzando in senso austro - ungarico e lo stato asburgico, divenendo economicamente autonomo, lo avrebbe interamente controllato; le carriere sarebbero state possibili ormai solo divenendo effettivamente membri dell'impero, austriaci. Non a caso i Pallavicini di Giancarlo avrebbero acquistato il noto palazzo viennese, prossimo alla Hofburg, e sarebbero poi stati tra i grandi magnati ungheresi, generali austriaci ancora nella guerra del 1915- 1 8 e avrebbero riproposto in Ungheria la monarchia asburgica ancora nel secondo dopoguerra, così come i von Brentano avrebbero dato figure di primo piano del romanticismo e del mondo accademico tedesco.


Conservazione e innovazione nell'assistenza bolognese del Settecento


Il sistema assistenziale bolognese era da secoli, e specificamente dal secondo '500, piuttosto esteso e qualificato sicché non presentò nel XVIII secolo innovazioni di rilievo. I numerosissimi ospedali per pellegrini e infermi, gli orfanotrofi sorti nel medioevo per iniziativa delle altrettanto numerose confraternite avevano conosciuto per tempo, soprattutto tra la metà del '400 e la metà del '500, un significativo processo di concentrazione, razionalizzazione e specializzazione, in gran parte sottolineato anche dall'emergere di congregazioni direttive quasi affatto separate dalle confraternite originarie e piuttosto rappresentative degli equilibri politici e socio-economici, dei diversi ceti che avevano voce attiva nella vita cittadina. Lo slancio devozionale e caritativo della Controriforma aveva accentuato, nella seconda metà del '500 e nel primo '600, questo processo di razionalizzazione che si era fatto sentire soprattutto nell'ambito dei conservatori femminili e nelle iniziative per la difesa dei costumi, ma anche in iniziative piri strettamente pauperistiche, come l'Opera dei Mendicanti. Significativamente mentre gran parte degli alberghi o ospedali per i poveri sorsero in Europa nel secondo '600 o nel primo '700, la bolognese Opera dei Mendicanti risaliva alla prima età controriformistica e, piri direttamente, al primo dibattito in materia suscitato dal Vives. C'era una ragione precisa perché quest'opera di razionalizzazione si fosse concentrata tra '400 e '500 e si fosse perfezionata nel secondo '500 o nei primi anni del '600, prima della grande crisi europea del 1620 e della peste. Certo lo slancio devozionale e caritativo della Controriforma aveva inciso, ma forse, più determinante, era stata la netta ripresa economico-demografica, il lungo Rinascimento economico (1450-1620) e in particolare il fatto che la società bolognese, già ampiamente sviluppata in età medievale, avesse raggiunto allora la sua massima espansione e conflittualità protocapitalistica e protoindustriale.

Beccadelli Antonio e Martinelli Vincenzo (Bologna, 1717 - 1803) - Sagrato della Chiesa di san Gregorio dei Mendicanti

Appunti per una rilettura storico-politica delle vicende idrauliche del Primaro e del Reno e delle bonifiche nell'età del governo pontificio


.... "La regolazione delle acque fu veramente il problema centrale che ne condizionò l'aspetto fisico, le vocazioni agricole e protoindustriali, l'assetto della proprietà, lo sviluppo demografico e il tenore di vita delle popolazioni, Il nodo venne drammaticamente al pettine, in modo particolare, nei secoli XVII e XVIII, quando il disordine idraulico e le conseguenti inondazioni si scontrarono con una più imperiosa necessità di salvare e di estendere i terreni coltivabili, usando quei mezzi che la tecnica idraulica aveva approntato da secoli e andava via via perfezionando. Ma l'opera era resa ardua non solo da difficoltà tecniche ma da motivazioni economiche e da interessi contrastanti, che non solo opponevano Bologna a Ferrara ma coinvolgevano le legazioni di Romagna, i ducati dell'Emilia superiore e persino lo Stato Veneziano e la Lombardia austriaca, riperquotendosi poi a Roma, lontana capitale di un sempre più anacronistico stato ierocratico."...
(Estratto dalla Prefazione al libro "La pianura e le acque tra Bologna e Ferrara", Mostra cento 18-27 Marzo 1983 - di Mario Fanti).


Le aree chiave della bonifica bolognese


Le aree chiave che sono state delineate giocarono, come si è visto, un ruolo mutevole nei diversi periodi rispetto alla bonifica generale. Nel '600 al centro del dibattito fu soprattutto l'area inferiore di Reno dato che le acque investirono soprattutto la Sanmartina e le più recenti bonifiche cinquecentesche e le soluzioni teoriche furono incentrate soprattutto sulla reinalveazione in Primaro-Volano e in Po Grande (linee Corsini-Capponi e Cassini-Guglielmini). Questa situazione si mantenne anche nel primo trentennio del secolo XVIII, con un dibattito sempre più puntualizzato sui problemi di Reno inferiore a levante sia per la Sanmartina estense in via di recupero, sia per i problemi della navigazione che per l'attivismo aldrovandiano. In questo trentennio, per altro, complessivamente, continuarono a prevalere gli interessi ferraresi che poterono far pesare nel dibattito anche la presenza dell'Impero in Comacchio ed una sua già pronunciata penetrazione un po' in tutto il Ducato, incentrantesi nella personalità e nelle molteplici iniziative del Cervelli.
Negli anni trenta invece, gli interessati bolognesi di Reno inferiore a levante acquistarono un crescente peso politico non solo nella legazione ma nello stato; il loro successo culminò negli anni '40 col pontificato lambertiniano e con la legazione romagnola dell'Aldrovandi. L'area chiave del dibattito idraulico, a causa delle rotte dell'Idice, era divenuta intanto quella centrale. Fu per la fusione degli interessi di questa area con quelli di Reno a levante che la tradizionale pressione degli interessati delle zone piÉ basse prese il sopravvento sull'attendismo e sull'impostazione prevalentemente giurisdizionale dei problemi idraulici dell'assunteria d'Acque. Il controllo del potere statale unitamente a questa convergenza d'interessi permise non solo di battere la resistenza ferrarese ma anche di operare una decisa rivoluzione nella tradizionale organizzazione idraulica bolognese. L'assunteria d'Acque ed il senato furono esautorati; si affermò in continuità con 7a tradizione dei comprensori privatistici il principio della diretta rappresentanza degli interessati, dando loro una prima stabile organizzazione comprensoriale che, a sua volta venne fusa e mediata nella prima salda organizzazione idraulica larga del territorio bolognese, la Congregazione del Benedettino.
Almeno in linea di principio si affermò il criterio della tassazione larga ma anche dell'intervento pubblico, della necessità, di finalizzare gli interventi al preminente interesse collettivo.
Dopo il fallimento del Benedettino, nel dispiegarsi di tutte le contraddizioni passate e dei conflitti speculativi, la solidità finanziaria e la potenza politica del Pallavicini favorirono ancora per qualche tempo i ferraresi, riproposero la centralità della Sanmartina ma più durevolmente operarono la separazione di molteplici interessi tradizionali da quelli del Magistrato dei Savi e della Congregazione dei Lavorieri, aprendo anche in Ferrara quella crisi istituzionale delle magistrature idrauliche che a Bologna si era avuta col Benedettino. L'iniziativa pallaviciniana e superiorista, attaccando a fondo anche le magistrature bolognesi, costrinse i bolognesi stessi ad un ulteriore sforzo di elaborazione istituzionale. Concretamente, al di là della stessa Congregazione del Benedettino, ridette spazio ad una assunteria d'Acque riformatrice, quale quella impersonata dal Grassi dal Malvasia, dal Fantuzzi, che, oltre alla stessa mediazione degli interessi privati avviata dalla Congregazione del Benedettino, si fece più direttamente carico dei nodi politici generali della bonifica, imponendola anche attraverso la dittatura riformatrice, avviando una tassazione larga, anticipatrice dei catasti e del tematico, la sola capace di realizzare e mantenere la bonifica. Con l'iniziativa dell'assunteria e del Grassi si giungeva per la prima volta ad un'impostazione veramente unitaria dei problemi idraulici e dei connessi problemi giuridici e finanziari del territorio bolognese. In qualche modo venivano meno le stesse aree chiave nella connotazione che qui se ne è data, sostituite dalla preminenza di scelte piri rigorosamente tecnico-scientifiche. L'elaborazione di questa linea fu però difficile e contrastata, dovette ancora largamente mediare coi particolarismi e in qualche modo cedere tatticamente ad essi, utilizzarli.
Col Voto Lecchi, che permise il concreto avvio della bonifica, si dovette simulare una convergenza di interessi immediatamente speculativi impossibile nella pratica, cosi come successivamente alcune scelte non solo tecniche ma anche di arca politica si resero necessarie, proponendo la preminenza prima dell'area di Marmorta e poi, di nuovo dell'area centrale, tra Idice e Savena.
A raccogliere i frutti del rinnovamento idraulico ed istituzionale sembrarono essere immediatamente I'autorità, legatizia, le tendenze monarchiche ed accentratrici; in realtà si erano impiantate le strutture più idonee allo sviluppo dell'agricoltura e della società locale, quelle strutture che avrebbe ereditato il Regno d'Italia napoleonico e, oltre di esso, lo stato nazionale.



Il carnevale di Bologna ovvero il trionfo della scienza galileiana sulla scienza cavalleresca


... Altra diversa narrativa del fatto succeduto nel carnevale dell'anno 1719 nel giorno di S. Apollonia nella Strada di Sanagozza in occasione che correvasi, com'era costume in tal dì, da cavalli barberi ad un pallio intorno la morte del conte Girolamo del marchese Achille Grassi. 


G.P. PANNINI, part. da un quadro del 1733, Roma, Quirinale, Coffee-house 

La crisi del '600 europeo, la guerra di Castro e la battaglia di S. Pietro in Casale


Il 13 agosto dell'anno 1649 la Storia si trovò, forse per caso, nel territorio di S. Pietro in Casale. Trecentosessantun anni dopo l'unico evento di rilevanza non provinciale legato al nome del nostro Comune, è stato ritrovato, e non solo per caso, il quadro che tale accadimento, un '"fatto d'arme", rappresenta. Già nel 1991 corre voce che il dipinto era stato presentato da una Casa d'Aste - S. Severino Marche; ben presto, tuttavia, se ne erano perse le tracce. Poi, grazie all'interessamento del Signor Remo Zecchi, alla generosa collaborazione del Prof. Vittorio Sgarbi e del Circolo Culturale 'ANTITESI" di S. Pietro in Casale, si è riusciti a risalire all'attuale proprietà, che generosamente ha ritenuto di concedere alla Cittadinanza visione del dipinto. Tale percorso di ricerca è stato promosso e coordinato dal Circolo Culturale "ANTITESI" di S. Pietro in Casale, che ha come obiettivo primario la diffusione dei valori della cultura nel Territorio. I promotori sono convinti che il ritrovamento e la successiva esposizione del dipinto, anche a prescindere dal suo valore artistico, possa contribuire a rafforzare un sentimento di identità presso la cittadinanza e ad affermare la convinzione che in Italia, a cagione dell'enorme patrimonio storico-culturale, molte località lontane dai principali centri politici e culturali siano state visitate, almeno una volta e anche se per caso, dalla Storia.


Storia della Chiesa di Bologna: ordini religiosi in età moderna



I monasteri benedettini ed i conventi mendicanti nella prima età moderna, i monasteri femminili, i collegi di chierici regolari, i monasteri e i conventi comitatini, la soppressione della Compagnia di Gesù, gli ordini regolari e la cultura, le soppressioni rivoluzionaria, napoleonica e postunitaria e la rinascita.



Il sistema delle acque


La pianura bolognese, come la Padana di cui fa parte, è il prodotto delle alluvioni millenarie operate dai fiumi nelle loro mutazioni, prima naturali, poi, in stretto rapporto al variare delle tecnologie, anche per effetto degli interventi umani. Certe caratteristiche dell'ambiente, strettamente connesse alle acque, sono risultate determinanti per I'evoluzione storica: ad esempio la continuità degli insediamenti costieri lagunari (Spina, Aquileia, Ravenna, Comacchio, Venezia, ecc.) o, all'interno, di quelli della fascia pedemontana che determinano il sorgere delle città allo sbocco delle valli fluviali che sono anche vie privilegiate di penetrazione transappenninica.
Allo stesso modo, nella pianura, gli insediamenti hanno a lungo insistito (anche in età moderna) sui dossi fluviali prima di procedere alla colonizzazione della restante pianura e della bassa.
Gli interventi umani si precisano in età romana nella sistematica opera di organizzazione idraulico-viaria-insediativa della centuriazione (una acquisizione definitiva), come, sull'asse della via Emilia si fissa il rapporto tra le città ed i loro distretti rurali.
Abbandonata da tempo l'ipotesi di una Padusa estesa su gran parte della pianura, I'attenzione congiunta di storici, geografi, geologi si rivolge ormai alla ricostruzione circostanziata del territorio, di cui la sistemazione delle acque è momento essenziale, anche se qui sarà impossibile svolgere un discorso approfondito.
Nell'età medievale il paesaggio a lungo si reinselvatichisce, si reimpaluda, si spopola e se certo anche nella pianura resistono aree relativamente coltivate e popolate è anche vero che frequenti alluvioni torrentizie investono Bologna stessa e aree paludose si riscontrano nell'immediato suburbio, determinando toponimi come Via delle lame, Polesino, Padulle, Bagno e Bagnetto, ecc. Dopo l'anno Mille, con la ripresa, l'azione di riconquista si fa assidua ad opera del Comune cittadino come delle comunità rurali e dei signori feudali (l'abate di Nonantola, il vescovo, l'arcivescovo di Ravenna, ecc.) che, declinando, moltiplicano le concessioni enfiteutiche ad meliorandum. Sorgono le partecipanze, tipiche delle aree di bonifica, e si registra una intensa opera di canalizzazione anche per.l'industria molitoria e tessile nonché per la navigazione.
Gli statuti cittadini (almeno dal 1288) prendono a regolare gli interventi ed i diritti collettivi e tuttavia la situazione resta spesso difficile, conosce periodici arretramenti per la naturale instabilità delle acque. Nell'età tardomedievale le notizie relative ad interventi idraulici si fanno frequentissime anche se non ancora correlate dagli storici in una visione d'insieme.
Ci basti qui citare la realizzazione del canale di Reno-Naviglio, di quello di Savena, dei canali di Medicina, Budrio e S. Giovanni. Si pensò seriamente di rendere navigabile anche il Riolo, con percorso parallelo e alternativo al Naviglio. Le variazioni nel corso dei torrenti erano frequenti e, specie dopo periodi di depressione ed abbandono, occorreva porre mano a sistematici interventi di inalveazione ed arginatura.
Così gli statuti del 1389 prevedevano vasti interventi al Reno, alla Savena, all'Idice con la tripartizione degli oneri tra comune cittadino, comunità rurali ed interessati frontisti.



L'età delle riforme



Il secolo dei Lumi si apre a Bologna in una situazione inquieta e problematica. L'età del re Sole e della gloriosa Rivoluzione inglese vi hanno avuto echi profondi. La città non ha mai cessato di considerarsi libera repubblica, soggetta alla Santa Sede solo nella figura del sovrano pontefice per dedizione patteggiata, ma autonoma dalla curia. Si avverte però che si tratta di libertas declinans che la stretta "Pretesca" si accentua. La rotazione dei legati ogni tre o sei anni e la precarietà degli apparati burocratici da essi dipendenti danno però spazio alla pretesa del Senato cittadino di esprimere la continuità della sovranità popolare in un eterodosso governo misto di monarchia e di repubblica, che la presenza di un ambasciatore in Roma sembra convalidare. Coi suoi segretari, consultori, notai ed archivisti il Senato controlla gran parte dell'apparato amministrativo, dalle finanze alle comunità del contado, mentre il legato controlla solo la giustizia e, per la grascia, si scontra costantemente coi collegi oligarchici, prossimi agli interessi agrari.
Ma, solidale nella difesa dell'autonomia da Roma, la città non è concorde al suo interno, nei suoi ceti e nelle sue classi, e, ora, sulle tradizionali divisioni si inserisce la sensibilità per i tempi nuovi, I'eco delle rivoluzioni intellettuali e politiche europee seicentesche. L'aristocrazia bolognese, tolto poche famiglie, non ha mai avuto livelli economici eccezionali né potenza politico-militare di feudi. La rifeudalizzazione cinquecentesca è stata presto spezzata, i feudi si contano sulle dita di una mano. Anche i privilegi locali e daziari sono ridotti e si avviano ad essere decisamente ridimensionati. Feudi esteri la nobiltà bolognese ne possiede molti in Romagna, nei Ducati, nel Regno sabaudo ed in quello di Napoli, talora persino nell'Impero, ma spesso servono solo a dare titolo o attestano la frequenza di un servizio che garantisce alla nobiltà molteplici alleanze e permette alla città di ottenere il riconoscimento estero alle sue pretese di autonomia repubblicana, di restare, nonostante l'assenza di una corte, la maggiore città emiliana. Ma le cinquanta famiglie del patriziato senatorio ereditario non hanno mai potuto costituirsi in classe chiusa: molte si sono immiserite ed estinte, sostituite da altre famiglie nobiliari o nuove, arricchite attraverso la mercatura. Le conseguenze economiche e, in parte, politiche, nel patriziato sono notevoli.
Se fidecommessi e maggioraschi, la fusione di più rami e i matrimoni con ereditiere hanno favorito nel corso del Seicento una concentrazione patrimoniale senza precedenti, Ia base demografica della nobiltà si è pericolosamente ridotta.


Ambienti naturali e società umane lungo il corso del Reno, quadri originari ed evoluzione storica



Un ripensamento attuale della storia e dei problemi del Reno può ora forse procedere all'inverso, dalla foce e dalle valli comacchiesi, dalle saline verso le cime appenniniche delle sorgenti. Non manca chi, e noi siamo tra quelli, sogna la possibilità anche di un ripristino storico-ambientale, ad esempio di tratti consistenti di costa o di parte consistente delle valli comacchiesi. Ma anche senza giungere a tanto è certo che è giunto il momento di salvaguardare quanto sopravvive degli antichi ambienti naturali ed antropici, della loro ordinaria e stretta integrazione attraverso una serie di parchi e di vincoli, dal parco del Delta alla città di Comacchio, a tutta la serie dei centri storici minori sviluppatisi storicamente lungo il Primaro-Reno, delle valli del Campotto al bosco della Panfilia, dal Cento-Pievese al Naviglio, dalle ville di Pontecchio e del Sasso ai prati di Mugnano, al parco di Monte Sole e Montovolo, fino ad un auspicabile parco dell'Alto Reno, articolato sulla cresta spartiacque, sui boschi demaniali e comunitari, sul Corno alle Scale e le vicine valli, di cui vanno salvaguardati, come parte integrante, anche i toponimi, spesso di gran lunga più belli e significanti dei nuovi e improvvisati, ascientifici toponimi 'turistici". L'esempio dell'Ecomuseo della Montagna Pistoiese è indicativo di come sia possibile fare ottime cose senza quasi alcuna spesa ma solo con un minimo di sensibilità.
Questa non è oggi una proposta conservatrice, ma l'unica reale proposta di progresso, che non può procedere attraverso la continua distruzione delle proprie radici storiche ed umane, pena costi economici e sociali destinati a diventare ogni giorno più rilevanti. Ne abbiamo infatti crescenti e quotidiane dimostrazioni: dai fenomeni dell'erosione marina delle coste alle morti del "sabato sera", dai fenomeni di accentuata subsidenza che riguardano gran parte della pianura bolognese-romagnola ai crescenti rischi di collasso del sistema idraulico e scolante, ai problemi della potabilità e balneabilità delle acque o delle frane collinari-montane, ecc. E non parliamo di infiniti altri costi sociali, di un degrado umano e di una perdita di valori che spesso giungono a rasentare la pura follia e l'autodistruzione. Come gli individui anche le collettività hanno bisogno della memoria, della coscienza del proprio passato: è una necessità di sopravvivenza e di equilibrio senza di cui si rischia, appunto, la pazzia. Anche i musei o parchi letterari proposti da Stanislao Nievo sono essenziali in questa direzione, e non costano assolutamente nulla. Questo recupero però non può essere lasciato allo spontaneismo velleitario del rimpianto, della raccolta estemporanea di ricordi, del "come eravamo felici quando stavamo peggio". Se deve assolutamente evitare sprechi economici e l'impiantarsi di nuove pressioni speculative e di elargizioni clientelari da parte degli organismi pubblici (che sono già troppe), deve essere una proposta organica, moderna, rigorosamente scientifica, che, col recupero della limpidezza delle acque e della loro vita biologica (nelle acque ed intorno alle acque), riproponga appunto consapevolmente anche gli ambienti storici ed umani, le culture che lungo il Reno si sono storicamente sviluppate, dai paesaggi ai manufatti e alle culture materiali, dagli ambienti urbanistici ai singoli monumenti, alle grandi personalità creatrici che di questi contesti sono state anch'esse un prodotto quasi necessario, come il Danesi, l'Aleotti, il Guercino, Guglielmini, il Vignola, ...Marconi, ecc. ecc. In questo senso la proposta di un grande parco del Reno non si presenterebbe come un museo fossilizzato, ma come un polmone vitale e stimolante inserito nella quotidianità della vita moderna, capace di visualizzarla costantemente ed in particolare capace di fornire alla scuola un supporto vivo ed integrato di tutte le diverse scienze naturali ed umane, quasi nella loro sorgiva ed originaria unità, evitando I'attuale e schizofrenica dissociazione tra le diverse discipline, tra scuola e vita, tra lavoro e svago-vacanza. Si tratta di riproporre il relax e la vacanza (o la "festa") a portata di mano, integrati nella quotidianità, e, contemporaneamente di riproporre la stimolante esperienza della diversità, del confronto tra le culture, del loro rapporto necessario con I'ambiente fisico e le risorse, della loro "necessità" storica, interdipendenza e complementarietà. Del resto, in molti casi, gli elementi per la realizzazione di un Ecomuseo del Reno già esistono, perché non mancano già iniziative di salvaguardia di ambienti, opere d'arte, protoindustrie, manufatti, ecc. ed anche non pochi comuni hanno manifestato sensibilità per il recupero e la salvaguardia del loro patrimonio storico, così come non mancano, anche fuori dai contesti accademici ed universitari, gruppi di studio interessati alla valorizzazione dei patrimoni delle loro aree. Ci sembra, fondamentalmente, che, a questo punto, occorra soprattutto un'idea guida, un'idea forte, capace di sollecitare e coordinare queste iniziative e di creare intorno ad esse la convergenza e I'entusiasmo delle amministrazioni, degli operatori economici e turistici, della scuola, degli studiosi, delle popolazioni.



 
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