Le trasformazioni delle strutture familiari e comunitarie e la ripresa del potere "popolare" - (Parte VI.17)



Questo studio fa parte di una serie intitolata "Per una storia del banditismo montano nel Cinquecento" che raccoglieremo in maniera organica e in un unico testo in un post finale ma che nel frattempo li riproporremo gradatamente nella versione iniziale pubblicata.

Le trasformazioni delle strutture familiari e comunitarie e la ripresa del potere «popolare» - (Parte VI-17)

Il processo di disciplinamento sociale, per altro, non sarebbe probabilmente passato se si fosse limitato al solo momento repressivo ed ecclesiastico-ideologico e se non si fosse accompagnato a più graduali e profonde trasformazioni di molteplici strutture che infine venivano a maturazione, determinando il sorgere di una società nuova, decisamente più «moderna» di quella passata. Prendiamo anzitutto in considerazione le trasformazioni della demografia e delle strutture famigliari. A partire dalla ripresa della metà del '400 il processo di crescita demografica, nonostante guerre ed occasioni carestie-epidemie, era stato fino a questi anni ininterrotto e sempre più accelerato, tanto nel contesto urbano, per i fenomeni di inurbamento, che, soprattutto, nel contesto comitatino. Bologna aveva raggiunto e superato gli 80.000 abitanti ed il suo contado oscillava ormai tra 250-300.000 anime, con una densità tra le più elevate d'Europa, che aveva sonetto una vasta azione di bonifica e colonizzazione come un consistente decollo mercantile, protocapitalistico e protoindustriale. Quanto e forse più che in altre parti d'Italia e d'Europa, il Bolognese aveva conosciuto una prima rivoluzione agronomica ed industriale, un primo consistente decollo capitalistico. Le lotte ed i fenomeni banditeschi si erano in gran parte verificati non in un paese arretrato e disgregato, ma, appunto, nel paese guida del capitalismo occidentale e, a tutti i livelli, per il controllo di queste immense risorse anche se una parte della manovalanza criminale operativa poteva essere venuta dai ceti più disgregati e proletarizzati. Ma, intorno agli anni '80 l'equilibrio tra popolazione e risorse si stava sempre più deteriorando e si erano in gran parte esaurite anche le terre più marginali da conquistare, dalla produttività comunque decrescente, mentre i processi inflazionistici raggiungevano livelli senza precedenti, compromettendo, con l'aumento dei salari e dei costi di produzione, la concorrenzialità delle manifatture italiane, pur di gran lunga qualitativamente più pregiate. A Bologna, ad esempio, verso il 1580 entrò in crisi il settore della lana, che tra città e contado aveva dato lavoro a 15.000 operai, ed inutili si rivelarono i provvedimenti protezionistici presi dallo stesso Sisto V. Il costo dei generi alimentari era crescente e per contro sempre più difficile si rivelava l'approvvigionamento cittadino dove, nonostante la molteplicità degli investimenti passati ed in parte perduranti, il fenomeno pauperistico era in rapida e pericolosa espansione e, con esso, naturalmente, i fenomeni di devianza strutturale quali la mendicità, i furti, gli assassini, la prostituzione. ....

A.Giacomelli, La casa della comunità di Capugnano, 1604-5, sopra la sacrestia - archivio, in persistente unità con la chiesa di giuspatronato popolare. In secondo piano Castelluccio e, sullo sfondo, il Corno alle Scale.

Il Cardinal Paleotti e la ristrutturazione ecclesiastica dell'alto Reno - (Parte VI.16)



Questo studio fa parte di una serie intitolata "Per una storia del banditismo montano nel Cinquecento" che raccoglieremo in maniera organica e in un unico testo in un post finale ma che nel frattempo li riproporremo gradatamente nella versione iniziale pubblicata.

Il card. Paleotti e la ristrutturazione ecclesiastica dell'alto Reno - Parte VI.16.

 L'avvento di Sisto V e l'avviata repressione del fenomeno banditesco ebbero conseguenze immediate anche sulla situazione ecclesiastica, favorendo, con la scomparsa o la rimozione dei parroci e dei pievani più compromessi nelle lotte e nelle fazioni, il riassetto generale della diocesi e il definitivo consolidamento tra gli ecclesiastici e le popolazioni della normativa tridentina in un rapido processo di disciplinamento. Del resto anche il nuovo ruolo di Bologna e del card. Paleotti erano stati appena riconosciuti con l'elevazione della diocesi ad arcivescovado con giurisdizione, oltre che su Bologna stessa, sui ducati emiliani. Nell'alto Reno in particolare si ebbe una generale ristrutturazione delle parrocchie e delle pievi. ù
Don Gherardo Tanari, il violento pievano di S.Mamante di Lizzano, evidentemente su autorizzazione del Paleotti, fu infine sottoposto a regolare processo dal tribunale del Torrone, ammise il suo coinvolgimento nelle lotte e fu esiliato. Di tale forzata rinuncia al plebanato lizzanese profittava immediatamente il card. Paleotti per smembrare il 25 gennaio 1586 S.Nicolò di Monte Acuto e S.Pietro di Vidiciatico dalla diretta unione alla chiesa di Lizzano, creandole parrocchie autonome, sia pur persistentemente soggette alla pieve di S.Mamante. Anche se con lentezza a causa della povertà del luogo, la chiesa di Monte Acuto cominciò ad essere ristrutturata, ad istituire la Compagnia del SS.mo Sacramento o Opera ed a dotarla di beni, a dotarsi di sacrestia, paramenti, arredi. Monte Acuto ottenne anche il fonte battesimale che da tempo richiedeva, perchè la lontananza dalla pieve era causa di gravi disagi e di una elevata mortalità infantile. Nuovo parroco, in sostituzione del vecchio cappellano don Carlo Picchi (un forestiere che entrò poi in fratellanza coi Bartolini di Capugnano), veniva nominato don Marco Fronzaroli di Rocca Corneta, ossia l'esponente di una famiglia tradizionalmente rivale di don Gherardo e dei Tanari, che vi venne ad abitare con due fratelli. Ciò contribuì certamente ad indebolire la posizione dei Tanari nel Belvedere ed a promuovere quel più generale movimento di recupero dell'autonomia economico-amministrativa della comunità che già si era delineato, ma, dato il coinvolgimento nelle lotte passate anche dei Fronzaroli, non era una garanzia. Nel giugno del 1592 un Calistri dei Boschi di Granaglione venne incarcerato, forse su denuncia dei Fronzaroli (anche le lotte tra comunità per i confini, i pascoli, i boschi, i processi di colonizzazione si erano accentuate), e ne seguirono faide tra le due famiglie in cui anche un fratello del parroco fu ucciso. Ciò consigliava l'allontanamento del Fronzaroli che il 7 luglio 1592, su sua apparente richiesta, otteneva da mons. Alfonso Paleotti, coadiutore del card. Gabriele con diritto di successione, di scambiare la parrocchia di Monte Acuto con quella di S.Marco di Zaccanesca, retta da don Camillo Mattei di Fossato.
 L'effetto complessivo della recuperata autonomia parrocchiale fu appunto anche quello di valorizzare la società civile delle singole parrocchie o ville della comunità belvederiana, che poterono raccogliersi più frequentemente intorno ai loro particolari consigli per eleggere poi i loro rappresentanti temporanei nel più ampio consiglio belvederiano. Progressivamente liberatosi dal condizionamento dei Tanari, tale consiglio assunse quindi una struttura relativamente democratica e confederale, processo che sarebbe culminato agli inizi del '600 nel pieno recupero dei beni comunali e nella riformulazione dei capitoli della comunità. Viceversa il processo di rafforzamento della comunità civile portò al rafforzamento delle strutture ecclesiastiche attraverso il restauro e l'ampliamento degli edifici, la nascita di confraternite, la fondazione di altari privati delle principali famiglie comuniste, in precedenza un po' soffocate dalla prevalenza dei Tanari. A Lizzano, ad esempio, nel 1599 il campanile crollato era già stato ricostruito, chiesa e canonica erano in ordine ed erano già stati eretti quattro altari privati: di S.Antonio abate dei Filippi, di S.Nicolò dei Gasparini, del Rosario dei Fioresi e di S.Rocco, pure dei Fioresi. Un analogo processo si ebbe anche altrove ed un particolare impegno si pose, tra i due secoli, a rifondare le pale degli altari maggiori coi santi titolari e totemici, patroni e garanti anche delle comunità civili. A Monte Acuto, ad esempio, la nuova pala dell'altar maggiore fu commissionata a Pietro Faccini e rappresentò i due santi patroni, Nicola e Giacomo, nell'atto di invocare la Trinità per la popolazione del luogo, in piena aderenza ai dettami estetico-devozionali voluti dal Paleotti. È probabile che tale pala fosse commissionata sotto il rettorato di don Giacomo Giacomelli (questo cognome si era imposto anche nello specifico ramo dei Semi), già allievo di don Martino Zanini e figlio di quel Pellegrino che aveva avuto due figli e un garzone uccisi alla pieve di Lizzano e che avrebbe poi commissionato anche un altare di famiglia in Capugnano. In tale pala nuova ortodossia religiosa, disciplinamento sociale e orgoglio della piccola patria procedevano parallelamente. Lo stesso si può dire per le pale un po' posteriori di Capugnano ed ancor più di quella di S.Mamante di Lizzano . ......

 
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