Le partecipanze emiliane, tra mito, evoluzione storica e produttività agraria



Chi abbia familiarità con la letteratura sulle partecipanze e le comunità partecipanti sa che, non infrequentemente, essa è nata da studiosi locali che con le partecipanze avevano un profondo, originario legame: penso, ad esempio, al Forni, al Simoni, al Diozzi. Si tratta di studiosi che muovono dalla erudizone locale, con un'ottima conoscenza dei locali archivi anche perché talora essi stessi archivisti comunali, ma spesso senza più ampi elementi di raffronto e però, nel loro rigore, non di rado anticipatori di ricerche e di interessi di studio non comuni in passato alla storia accademica, valorizzati invece più recentemente dalla microstoria, dalla storia demografica e dela famiglia, del territorio e dell'ambiente, delle strutture agrarie, della cultura materiale, delle istituzioni, ecc. C'è inoltre oggi ad orientare verso il recupero di questa storiografia il crescente interesse per la storia dei rapporti tra i centri del potere politico e le periferie e le comunità, per tutto il complesso articolarsi in ceti delle società urbane e delle società rurali e sui pro-cessi di reciproca interazione ed integrazione, sulla formazione delle borghesie intellettuali, spesso di origine comitatina, sui processi di inurbamento e sulle ascese sociali, sulle gentry rurali (o meglio delle città e delle terre comitatine) di cui credo si venga scoprendo l'incisività proprio per l'Italia, caratterizzata appunto dalla molteplicità delle città e delle piccole patrie. C'è però anche tutta una letteratura giuridica che, dopo l'ottocentesco dibattito tra il Cassani ed il Breventani sulle decime centesi, ha spesso lasciato cadere la componente più propriamente storica e che perciò, insieme ad un certo numero di meriti teorici, presenta anche non pochi limiti. Presa dai dibattiti legislativi postunitari e novecenteschi e spesso dalla preoccupazione concreta di salvare l'istituto, tale letteratura giuridica ha teso a dare un quadro unitario dell'istituto delle partecipanze, riconducendolo ad originarie concessioni enfiteutiche nonantolano-vescovili, all'obbligo della coltivazione ad meliorandum, all'incolato ed alle divisioni periodiche, al processo di chiusura e di separazione dagli istituti comunali coi quali pure, in varia misura, aveva continuato a convivere ambiguamente. Ma questa visione unificante (penso ad esempio al Frassoldati) nasceva non tanto dalla concreta evoluzione delle partecipanze storiche, originarie, quanto dall'effettivo processo di tendenziale unificazione giuridica che era proceduto a partire dalla loro ricostituzione negli anni della Restaurazione e, ancor più, con la legislazione del card. Macchi del 1840 e poi attraverso gli stessi dibattiti parlamentari postunitari e novecenteschi. Non a caso ad essere soppresse finirono per essere le partecipanze di Medicina e di Budrio che nella loro evoluzione meno si adattavano allo schema della partecipanza dominio collettivo-piccola impresa coltivatrice. Sulla base di questa letteratura, come nella tradizione po-polare tanto per le partecipanze che per le comunanze montane è sopravissuto il mito della buona contessa Matilde, che per altro potrebbe avere talora anche qualche consistenza, credo che pochi studiosi siano sfuggiti ad un certo mito delle partecipanze come precoce capacità delle genti emiliane di organizzarsi in strutture collettive (starei per dire quasi cooperative e socialistiche) operanti al riscatto della terra dalle forze selvagge della natura e alla valorizzazione agricola, in strutture politiche associate (i comuni rurali) tendenzialmente egualitarie e progressivamente emarginanti i poteri feudali e signorili, consapevoli di sé e dei propri diritti fino al costituirsi delle famiglie antiche ed originarie in entità autonome dai comuni stessi. Ma regge veramente e interamente questa visione ottimistica ad un'analisi storica più approfondita? Invero già non pochi degli studiosi più legati alle realtà locali (come il Forni o il Diozzi) avevano insistito anche sulle differenze storiche, sul-la necessità di analisi concrete, articolate e parallele, sulla diversità degli esiti. Credo appunto che da questa più concreta analisi si debba partire per comprendere questa diversità, procedendo non solo ad una analisi comparata delle diverse partecipanze (e invero anche delle comunanze montane) ma anche allargando l'indagine alle più complesse realtà geografiche, ambientali, pedologiche e agrarie, politiche, sociali ed economiche, culturali in cui le partecipanze si sono inserite e con cui hanno interagito. (....)

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