La chiesa di Bologna e l'Europa durante l'arcivescovado del Cardinal Vincenzo Malvezzi



Se si eccettuano alcuni panegirici in occasione della morte, fatti da personalità religiose di tutto rilievo e assai laudativi, non si può certo dire che la letteratura sull' arcivescovado del card. Vincenzo Malvezzi sia numerosa e di rilievo' e ciò in particolare contrasto con la letteratura sul suo predecessore Prospero Lambertini-Benedetto XIV che è abbondante e generalmente encomiastica, anche se spesso molto aneddotica e poco incisiva dei problemi religiosi e politico-economici o socio-culturali che coinvolsero la società e la chiesa bolognesi del periodo'-. In effetti forse proprio questa abbondanza di letteratura acritica per il Lambertini ha finito per schiacciare la possibilità di una corretta lettura dell' arcivescovado del Malvezzi, impedendo di cogliere quali profonde linee di continuità legassero le due personalità e le due epoche, naturalmente anche con non irrilevanti differenze di sensibilità e di stile personale e fratture di clima e di situazioni. In particolare poi ha gravato sulla possibilità di una corretta lettura del Malvezzi e della sua epoca il fatto che egli fosse stato il protagonista della soppressione dei gesuiti, per questo amato ed esaltato da una vasta parte del mondo contemporaneo quanto altrettanto odiato da un'altra. Gli elementi di odio e di rimozione già prevalevano con l'avvento di Pio VI Braschi che portava all'immediata disgrazia del Malvezzi e, naturalmente, si intensificarono ancor più dopo la rivoluzione francese e con la Restaurazione. E del resto una sorte, questa, che il Malvezzi condivide con altre grandi personalità bolognesi del periodo, primo fra tutti il marchese Carlo Grassi, che, a nostro avviso, va annoverato tra i maggiori riformatori italiani del Settecento', di cui in parte condivise gli obiettivi ma con cui talora si scontrò duramente. Al più anche in opere recenti si è in qualche modo cercato di salvare la personalità dell'individuo e del religioso ma si è eluso il problema di una valutazione più critica e globale della sua personalità e della sua epoca e delle condizioni più generali della chiesa e della società bolognesi. (....).

Vincenzo Malvezzi, dalla Biblioteca Digitale del Comune di Bologna


Comunità e Parrocchia nell'area Appenninica in Età Moderna



Parlare in breve delle forme tradizionali di aggregazione popolare nella montagna-collina emiliano-romagnola (anche a limitare il discorso a pochi elementi come la comunità e la parrocchia) non è semplice perché, se esistono elementi strutturali uniformanti la cultura appenninica (l'ambiente, una certa unità di cultura materiale e spirituale, l'alimentazione, ecc.), esistono anche tra le diverse aree differenze profonde. Nel piacentino e nel parmense il peso della grande feudalità è rilevante e quasi non conosce fratture dall'età medioevale alla rivoluzione: i castelli conservano anche in età moderna gran parte della loro importanza strategica e sono spesso al centro di veri piccoli stati consolidati dalla tradizione ghibellina e dalla rilevanza dei feudi imperiali liguri a cui li collegano le strade che dalla Lombardia e dalla Padania scendono verso Genova e Sarzana. Nel ducato estense la feudalità montana resta rilevante anche se nei suoi aspetti minori può dar origine a qualche macchietta della commedia dell'arte, come il conte di Culagna poi, per fuggire il ridicolo, ribattezzato d'Acquaviva. In età moderna anzi, per le esigenze politiche e finanziarie degli Este, la feudalità tende nuovamente ad espandersi rispetto alle libertà conquistate dalle comunità nella tarda età medioevale e nella prima età moderna, nonostante non manchino episodi di accanita resistenza popolare. Però, con poche eccezioni come i Montecuccoli, si tratta per lo più di una feudalità frazionata che non sembra più in grado di incidere realmente, mentre al contrario il Frignano con la sua ampiezza e dilatazione vanta una tradizione di autonomia da Modena che ha potuto fondarsi sullo spessore delle persistenze etniche liguri come sull'autonomia dell'abbazia di Nonantola dalla diocesi modenese, sulle periodiche penetrazioni ed occupazioni bolognesi come, infine, sulla stessa espansione estense oltre lo spartiacque, nella Garfagnana. (......)

Per un'indagine dei caratteri originali della pianura bolognese del XVIII Secolo: il Catasto Boncompagni




Il Bolognese, tra il Sillaro e il Panaro, è diviso dalla via Emilia ad est e dalla via Bazzanese ad ovest, che separano nettamente il territorio della collina-montagna da quello della pianura. La città è posta al centro di questo territorio e da essa si dipartono a raggera anche le altre strade secondarie: di cresta (solo parzialmente e più recentemente di fondovalle) verso i valichi e le città toscane; verso Ravenna nella pianura (l'antica via Salara) e su tre direttrici verso il Primaro e il Ferrarese; verso S. Giovanni e Crevalcore con un rettifilo costruito di getto nel 1250 dal comune popolare memore delle antiche realizzazioni romane.
Già questo assetto mostra come il Bolognese sia stato un territorio unitario e la città vi abbia precocemente giocato un ruolo accentratore, a differenza di altre minori città emiliane. Il confronto col Modenese in particolare è pregnante. Il Bolognese storico si spinge lungo la via Emilia con un deciso saliente fino al Panaro, a oltre 20 km dalla città e ad appena 5 km dalla città rivale. Il Modenese inoltre risulta frazionato nel non vasto distretto di Modena, nella diocesi e nelle estese terre enfiteutiche di Nonantola, nel distretto-diocesi di Carpi, nel principato di Mirandola, nel vasto Frignano, nei numerosi e consistenti feudi. Feudi, città alternative di discreta ampiezza, abbazie, confederazioni montane costituiscono altrettanti poli alternativi alla città dominante, spesso anche come mercati. Nel Bolognese invece i diversi centri sorti a raggera ad una ventina di km dalla città (Bazzano, Castelfranco, S. Giovanni in Persiceto, S. Agata, Crevalcore, S. Pietro in Casale, Budrio, Medicina, Caste! S. Pietro) sono stati presto soffocati nelle loro aspirazioni all'autonomia, nelle speranze di crescita artigiana e mercantile e non sono andati oltre la dimensione di piccoli-medi borghi, organizzanti assai ristrette aree in gran parte controllate dalla proprietà cittadina. I feudi sono in tutto tre o quattro, di non grande ampiezza. Diocesi e territorio in gran parte coincidono e molte delle terre di originaria enfiteusi nonantolana sono state riscattate.
Strutture ambientali ed eventi storico-culturali si sono sorretti vicendevolmente a determinare questo assetto. Il carattere della Bologna moderna era già in gran parte delineato in età etrusco-romana, quando la città presentava una oligarchia agraria e consistenti ceti artigianali e mediava nei commerci tra Adriatico e Tirreno, tra Italia centrale e Padania (.....)

Identità storica e vocazioni del territorio bolognese




Colloquio con Alfeo Giacomelli.

Comincerei con una constatazione. Il territorio coordinato dalla città di Bologna ha mantenuto una notevole stabilità nei secoli e paragonato ad altre realtà, per esempio il territorio modenese o quello romagnolo - ha una notevole estensione. Bologna ha sviluppato una capacità di controllo sul contado sconosciuto alle altre città emiliane. Inoltre questo dominio non conosce eccezioni e si manifesta sia verso la pianura, sia verso la montagna. Lei concorda con questa affermazione? 

 Per l'età moderna certamente. Bologna è una grande città di tipo europeo, internazionale, sia dal punto di vista demografico, sia dal punto di vista produttivo. E' assolutamente una delle città trainanti sul piano europeo nella prima rivoluzione industriale, in epoca tardo medievale-primo rinascimentale e quindi su questa base raggiunge anche un controllo del territorio che almeno in area emiliana non ha confronti con le altre città. Però anche nel caso bolognese questa compattezza è il risultato di un processo storico piuttosto prolungato che lascia tracce profonde anche sull'età contemporanea. Bologna ha sicuramente come punto di riferimento della sua organizzazione territoriale in epoca moderna un substrato più antico, che e dato dalla diocesi, cioè l'entità religiosa del territorio, la quale a sua volta riflette un momento organizzativo probabilmente tardo romano, altomedievale, quando la città aveva sicuramente un controllo del territorio già consistente. La diocesi bolognese coincide con lo spartiacque montano, cosa che invece non è avvenuta a lungo per il territorio politico. In età altomedievale Bologna è invece stata una città relativamente perdente rispetto ai centri vicini, perdente sicuramente rispetto a Ravenna, perdente rispetto alla penetrazione longobarda da Modena e dalla Toscana e il suo territorio si è ridotto notevolmente. Ad esempio la contea di Modena si espande praticamente fino al Reno, la marca toscana penetra fino all'altezza di Riola, altre aree sono estremamente frammentate, il territorio della diocesi di Nonantola e lo stesso territorio soggetto all'abate di Nonantola è piuttosto esteso sia in pianura sia lungo la valle del Samoggia e del Panaro, fino ai passi verso la Toscana (Lizzano, Corno alle Scale). Il Comune bolognese, che si costituisce intorno all'autorità vescovile, ha inizialmente il problema di riaffermare la propria autorità. Questo processo di riconquista del territorio, che data tra la fine del XII secolo e la prima metà del XIII secolo, coincide con l'affermazione del comune popolare, con l'affermazione delle arti, con una rivoluzione anche politica ed economica, e con la stessa affermazione dello Studio. Una serie di fenomeni concomitanti che porta Bologna a primeggiare in Europa. (....)

 
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