La reazione delle popolazioni e dei Ranuzzi all'invasione di Porretta e l'isolamento dei guelfi. L'assedio ghibellino e la strage della pieve di Lizzano - (Parte IV.5)



Questo studio fa parte di una serie intitolata "Per una storia del banditismo montano nel Cinquecento" che raccoglieremo in maniera organica e in un unico testo in un post finale ma che nel frattempo li riproporremo gradatamente nella versione iniziale pubblicata.

La reazione delle popolazioni e dei Ranuzzi all'invasione di Porretta e l'isolamento dei guelfi. L'assedio ghibellino e la strage della pieve di Lizzano - (Parte IV.5)

Abbiamo visto che anche nel Belvedere le violenze mafiose dei Tanari e dei Menzani incominciavano ad incontrare crescenti resistenze nella popolazione, anche se è ovvio che a determinarle non era solo la volontà autonomistica delle principali famiglie locali ma anche l'opera di sobillamento del partito ghibellino e dei Pepoli, ancora intenzionati a soppiantare i Tanari nel controllo dei beni belvederiani e con ciò a saldare il loro controllo territoriale del Bolognese in un continuum dal feudo imperiale di Castiglione dei Pepoli ai capisaldi della valle del Reno, dalle vastissime tenute confinarie della Palata e della Galeazza, pretese giurisdizionalmente autonome, alla tenuta di Durazzo, pure pretesa non soggetta al senato e alla legazione, ai beni di Villa Fontana ed ai beni romagnoli fino a saldarsi con il feudo dell'alleato Ciro Alidosi di Castel del Rio, per non parlare delle vaste tenute sul Modenese e dell'appoggio costantemente prestato loro da Alfonso d'Este, preoccupato per le mire espansionistiche del pontificato su Ferrara. Ma, oltre ai Pepoli, a determinare una svolta contraria ai Tanari ed ai Menzani sarebbe stata nell'alto Reno anche la reazione dei Ranuzzi alla seconda e più grave invasione del Bagno della Porretta, avvenuta il 21 gennaio 1584 in pieno carnevale ad opera di una banda di una ottantina di uomini, apparentemente diretta dai Menzani ma, senza alcuna possibilità di dubbio guidata dallo stesso don Gherardo Tanari e dal conte Alfonso Montecuccoli. A quella invasione avevano partecipato non pochi esponenti dei Tanari belvederiani e loro collegati ma avevano quasi certamente partecipato anche elementi capugnanesi strettamente imparentati agli Zanini, come i Serni del Castellaro (il ramo dei Giacomelli più cospicuo nel contesto rurale per possessi, allevamenti, soccide e attività di prestito su censo o patto a francare), per non parlare della probabile partecipazione degli Zanini stessi, anche se il principale esponente laico del ramo capugnanese, Ottaviano, costituitosi spontaneamente nelle carceri del Torrone, aveva resistito alla tortura ed era infine stato rimesso in libertà. Dell'innocenza degli Zanini però i conti della Porretta dovevano essere assai poco convinti e comunque essi avevano tutto l'interesse a ridimensionare la potente famiglia che controllava l'importante pieve delle Capanne e la chiesa di S. Michele di Capugnano, chiesa parrocchiale del Bagno stesso, dato che la chiesa di S. Maria Maddalena era ancora semplice capellania, famiglia che anzi con ser Giulio e Desiderio Zanini dava anche i due segretari delle comunità di Granaglione e di Capugnano, alleate nel contrastare col senato cittadino le pretese giurisdizionali dei Ranuzzi circa il miglio circolare della contea, inteso dai feudatari nel senso del miglio di raggio, dalle comunità nel senso del miglio di circonferenza, ciò che riduceva l'area della contea praticamente al solo abitato. Fino ad allora, dato che la stragrande maggioranza della popolazione inurbatasi nel Bagno era costituita da famiglie capugnanesi (soprattutto), granaglionesi e di Castel di Casio gli stessi porrettani erano stati fondamentalmente solidali coi propri clans d'origine ma ora, dopo circa un secolo di sviluppo, venivano acquisendo una maggiore autonomia borghese e per di più i conti cercavano di attrarre alle loro tesi non poche delle principali famiglie della villa bassa compensandole assegnando loro ruoli di rilievo nella amministrazione della contea come il commissariato, la fattoria comitale, la cappellania. ....

Giuseppe Fancelli - San Mamante di Lizzano

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