L'uccisione di don Pirro Zanini alla Pieve delle Capanne (5 settembre 1585) - (Parte VI.14)



Questo studio fa parte di una serie intitolata "Per una storia del banditismo montano nel Cinquecento" che raccoglieremo in maniera organica e in un unico testo in un post finale ma che nel frattempo li riproporremo gradatamente nella versione iniziale pubblicata.

L'uccisione di don Pirro Zanini (5 settembre 1585)

Il rigore dei nuovi bandi e la decisione con cui il nuovo pontefice ed il legato Salviati sembravano intenzionati a porre fine al fenomeno banditesco, l'arresto e lo strangolamento del senatore Giovanni Pepoli, capo effettivo del partito ghibellino al quale erano collegati, non sembrò scoraggiare i Mellini, ormai pressoché tutti banditi, ma, in qualche modo, anche relativamente sicuri nelle loro basi di Pavana e Sambuca, sul vicino Granducato. Il fatto anzi che una parte degli Zanini fosse stata raggiunta dalla giustizia ed alcuni dei loro esponenti più odiati e qualificati fossero stati giustiziati nell'attacco alla pieve di Lizzano, che fosse ormai chiaramente emerso anche il cointeresse dei conti Ranuzzi a ridimensionarli, sembrò rendere i Mellini ancora più attivi e decisi. Il 5 settembre 1585 (appena cinque giorni dopo l'esecuzione del Pepoli si badi e quasi come reazione del partito ghibellino ad essa) essi attaccavano con decisione la pieve delle Capanne, uccidendo ostentatamente il pievano don Pirro Zanini, causa prima delle loro disgrazie. Lo denunciava il giorno seguente il massaro di Granaglione, precisando che l'uccisione era avvenuta in un campo sotto la pieve, dove il sacerdote assisteva ai lavori di un mezzadro e di un garzone, con undici ferite tra archibugiate e pugnalate. Però il massaro non faceva affatto il nome dei Mellini ma parlava solo di sette «sconosciuti», indeterminatezza e minimizzazione significativa se si pensa che in passato le denunce dei massari granaglionesi erano state costantemente orientate a favore degli Zanini. È evidentemente un segno di paura per il tendenziale sopravvento politico-militare della famiglia già sconfitta e, viceversa, un preciso indice dell'attuale debolezza ed isolamento degli Zanini anche per la contemporanea azione dei conti Ranuzzi. L'uditore Traiano Gallo inviò sul luogo la solita cavalcata, al comando del notaio criminale Vincenzo Bernardi col cursore Camillo Barbieri, che 1'8 settembre iniziavano l'inchiesta a Capugnano da Giangiacomo q. Ottaviano Zanini, padre dell'ucciso. Benché non fosse stato sul luogo, egli non ebbe alcuna esitazione ad indicare come artefici dell'assassinio tutto il clan dei Mellini ed i loro collegati toscani di Sambuca e di Treppio, con la partecipazione anzi delle loro donne rimaste alle Capanne. ......

Lodovico Carracci, Remo uccide il re Amulio (part.), 1590-2, Bologna, Palazzo Magnani

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